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AUGURE – Apnea

AUGURE – APNEA
Avete mai immaginato di volare? 
Augure – trio post-rock/shoegaze di Caserta (CE), formato da Simona Uccella (Basso), Marco Pagliaro (Batteria) e Domenico D’Alisa (chitarra).
L’album inzia con una melodia intensa, trasportante, che ci conduce attraverso i cancelli della mente, e oltre. Un suono Synth si alterna con suoni analogici, strumenti e vibrazioni si fondono e creano una pasta sonora degna dei God Is An Astronaut. Non ci sono esplosioni, nessun colpo di scena, questi suoni sembrano fatti per farti chiudere gli occhi e sognare.
 
E’ così che da Inhale passiamo a Ruunt. Il nostro viaggio è ormai iniziato, abbiamo lasciato gli ormeggi e stiamo navigando nel mare sonoro e caldo degli Augure. Un cielo scuro e nuvoloso ci accompagna lungo il nostro viaggio, colpi di tamburo risuonano in questa seconda traccia, un suono scarno, senza troppi effetti, mi ricorda il suono dei remi nell’acqua torbida di questo mare sonoro.


Il basso si staglia imponente lungo l’orizzonte, e con il suo ritmo pressante da spazio ad una chitarra dolce, una melodia che piange e risuona negli abissi di questo mare.

Jakob, Mogwai, Mamiffer, Slowdive, Isis, Bark Psychosis arrivano chiari fin da subito alla nostra mente. Le onde si alzano durante “The Hunt”, e la nostra meta è ancora lontana, e ad occhi chiusi continuiamo a remare, facendoci strada tra senso e melodia. Tutto torna, tutto ha una spiegazione per gli Augure, riverbero e delay fanno da padroni in questo scenario che mi lascia una sensazione omerica, una voglia di viaggiare senza fermarmi.

I suoni di chitarra si intrecciano, si moltiplicano, si uniscono, Sembrano quasi voci di sirene che ci chiamano da lontano, da un posto ignoto che solo i componenti della band conoscono. Un tuono rieccheggia con l’inizio di “La Chute”, un’onda ci colpisce e ci ritroviamo sott’acqua. I suoni rimangono caldi, profondi, e tutto viene permeato da un suono imperante…qualcuno urla in lontananza, una richiesta di aiuto forse, voci sperse nel vuoto della mente.


Überlauf ci riporta in superficie, afferriamo i remi, torniamo a pensare alla nostra meta, riprendiamo il viaggio.

Qua il ritmo incalzante della batteria fa da padrone, e ci spinge a remare con forza, per riprendere in mano il nostro destino. La chitarra non molla, tiene il ritmo, è distorta ora, accompagna suoni riverbersosi e tanto delay, effetti usati con sapienza e maestria. Per chi Apprezza il genere, gli Augure sono sicuramente una band valida, da ascoltare.

Bisogna aprire le porte a questi ragazzzi, dargli lo spazio che si meritano, e lasciare che siano loro a raccontare il loro album attraverso i momenti che si accompagnano. Questa è una di quelle band in cui forse la suddivisione delle tracce è superflua, perchè la realtà è che album come questi andrebbero ascoltati dall’inizio alla fine, senza play e senza stop.
Un turbinio sonoro che evoca immagini e suoni come conigli dal cilindro.
“A cloud of Gray”, una nuvola grigia sorvola il cielo, grande, enorme, e noi non possiamo fare altro che stare a guardarla, dalla nostra piccola barca, e ci sentiamo piccoli di fronte a questo spettacolo. La chitarra ci accompagna flebile, così come la batteria che stavolta sceglie di accompagnare il pezzo in modo sommesso. Il basso si muove con suoni lenti e caldi, segue la nuvola.


Poi il cambio improvviso: Dalla nuvola cade un fulmine, proprio davanti a noi. La pioggia cade forte ora tutto intorno a noi, le onde ci fanno oscillare sulla nostra barchetta, e sentiamo tutto il potere della natura di fronte a noi. Il pezzo si ferma, la nuvola è passata, la vediamo ancora chiara li, ma ora sta andando oltre, non ci riguarda piu’, e noi con fare Dantesco ci sentiamo di non doverci soffermare, abbiamo un compito che ci attende, e la band ci invita a proseguire come buon Virgilio.

Siamo approdati su una terra spoglia, fredda, siamo all’ingresso di una caverna, ci guardiamo intorno senza trovare punti di riferimento.
“Exhale”, ultima traccia. La band continua ad accompagnarci in questo viaggio, ci vuole mostrare qualcosa, e noi ci lasciamo accompagnare fiduciosi. La batteria risuona martellante, eppure rimane in secondo piano, lasciando spazio ad una chitarra che stavolta suona una litania, un lamento che ci pervade. Questi lamenti provengono forse dalla caverna di fronte a noi? Qualcuno laggiu’ piange, soffre, e noi rimaniamo in ascolto. Il basso ci lascia intravedere una luce nel fondo, colori caldi, fuoco forse, delle torce accese. C’è vita laggiu’, c’è qualcosa. Gli Augure ci mostrano l’entrata, e noi con un cenno decidiamo di accettare l’invito, e con un passo ci addentriamo nell’oscurità fredda.
 
Qui termina il lavoro di questa band, che ha saputo creare un lavoro interessante, un album che ci lascia con la sensazione di dover continuare, un capitolo di un libro che chiede per forza un altro capitolo. E noi li lasciamo con la speranza di rivederli presto sulla scena, per raccontarci l’evoluzione di questo lavoro, con il prosequio di una storia che si promette epica.
 
Paolo M. – Postrock.it
 
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ABCD | I am Wolves, il Post Rock dalle armonie sognanti

ABCD dei I Am Wolves

I Am Wolves, band post rock che ci porta
a caccia nella psiche umana.
La scelta degli I Am Wolves è stata quella di affrontare una “caccia” più che un viaggio attraverso la psiche umana.

Ogni recensione cerca di essere oggettiva quanto più possibile, almeno io ci provo sempre, ma è il tocco personale che fa di una recensione, quella giusta da leggere.

Dopo aver rilasciato due EP, la band si è finalmente decisa a debuttare con un album. Ed è stata la scelta giusta.

Gli “I am Wolves”, sfornati direttamente dal Belgio, bilanciano il post rock melodico, armonico, quello che ti  fa sognare dalla prima nota… con un post metal che non stona mai nell’insieme. Non crea quella frattura che possiamo immaginare, anzi, completa il tutto rendendo l’album qualcosa di davvero meritevole.

Si sentono le chiare influenze di band post rock di un certo calibro come Explosions In The Sky, Russian Circles, Sigur Ros, Mogwai… ma con un tocco di tecnicismo che rende le loro note differenti. 


“Collapse of Worship” introduce magicamente il disco con un inizio sognante, magico, per poi lasciare spazio alle chitarre dal groove marcato. Una spaccatura stilistica tra post rock e post metal, come descritto in precedenza, che fa di loro una band dal suono già definito.

Lo stesso effetto lo possiamo sentire in “I’m Not Dead”. Il mio orecchio ha iniziato a fremere gioiosamente all’ascolto delle armonie delle chitarre, terze e quinte che si incrociano perfettamente sulla tonica, senza lasciare spazi vuoti alle orecchie, donando una sensazione di completezza. Il tutto, volutamente appesantito dal basso che rende le melodie più aggressive grazie alla sua ritmica cadenzata e costante.

“October” riprende la magia del riverbero come nel primo brano, per poi esplodere successivamente ma sarà “Ortus” a regalarci un’atmosfera davvero degna di un buon post rock. Ed è proprio da qui che la parte più dannata dell’album giunge alle nostre orecchie. La batteria è cadenzata, meritevole, perchè la bravura si vede nel saper fare il giusto al momento giusto e non nello strafare. Eppure, non si tira mai indietro nelle parti più aggressive, come possiamo notare in “Die, Ignorance, Die!” e in “Second Breath”.

La scelta degli I Am Wolves è stata quella di affrontare una “caccia” più che un viaggio attraverso la psiche umana.

Raccontano di come la sofferenza, la morte, le tragedie possano influenzare totalmente la ragione e la mentalità umana. Raccontano di quanto in realtà possa essere piccolo l’uomo quando impara ad affrontare se stesso. Una scelta davvero impegnativa e che hanno saputo portare a termine molto bene a mio parere, passando da canzoni che evidenziano un crollo psicologico come “Collapse of Worship” al tentativo di ritrovare un’identità con “Second Breath”.


Se devo proprio trovare una pecca, le canzoni nel mezzo fanno disperdere un po’ il loro percorso, per poi ritrovarlo solo alla fine. Considerando che questo è il loro primo album ufficiale, secondo solo a due EP, direi che è una partenza ottima.


Sicuramente una band da continuare a seguire nei prossimi anni.

Voto: 8

CONTATTI:

Bandcamp: https://iamwolves.bandcamp.com/track/im-not-dead

iTunes: https://apple.co/2GUlfgS


Youtube: https://youtu.be/KPyJcc4i5q0

Spotify: https://spoti.fi/2GQsczv

Soundcloud: https://soundcloud.com/user-243927227

ALTRO:

Website: https://iamwolves.wixsite.com/iamwolves

Facebook: https://www.facebook.com/iamwolvesband/?ref=br_rs

Instagram: https://www.instagram.com/iamwolvesband/

Soundcloud: https://soundcloud.com/user-243927227

J. Postrock.it

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Echo Atom – Redemption: l’Italia si fa sentire

Echo Atom – Redemption

l’Italia si fa sentire 
È con immenso piacere che mi appresto ad ascoltare questo Album di esordio del trio Post Rock/Prog.
Echo Atom - Redemption
A Gennaio gli Echo Atom ci avevano già deliziato con il loro EP. Allora le canzoni erano solo tre, mentre ora ci troviamo di fronte ad un vero e proprio Album.



Potete leggere la precedente recensione sugli Echo Atom a questo link!

Se già allora il nostro voto era positivo, questo lavoro conferma quanto abbiamo già detto su di loro.


Il progetto Echo Atom prende luce nel luglio del 2016 da Walter Santu (chitarrista), Giuseppe Voltarella (bassista) e Alessandro Fazio (batterista). Nasce così questo trio molto affiatato e solido che nel tempo prende la direzione, per necessità e per scelta, di gruppo interamente strumentale.

La musica strumentale è una scelta delicata che non sempre riesce bene. Gli Echo Atom sono una piacevole sorpresa nel panorama italiano.


Un progetto ben strutturato, calibrato con maestria. Un progetto dove le chitarre si bilanciano perfettamente con i suoni di basso corposi e vellutati e che riempiono l’aria circostante e ci fanno respirare l’aria psichedelica e sognante che ha reso grande questo genere. La batteria non è borderline come in tante band. E uno strumento che segue, coinvolge, si rende talvolta protagonista, mentre in altri momenti riesce a rimanere sul bordo del palco mentre accompagna sommessamente gli altri strumenti.

Echo Atom - Redemption

Non stravolgono e non agitano, ma ci invitano a chiudere gli occhi e a sognare, a lasciarci cullare. Sono un sogno che si fa da bambini, quando l’ingenuità e la semplicità fanno da sfondo a colori tenui e leggeri.

Tutta l’attenzione si focalizza sugli strumenti, dove Il suono e l’emozione si esprimono anche senza una voce. Una piccola tribù che comunica e si racconta attraverso una chitarra, un basso e una batteria.


La cinque tracce contenute nell’Ep del trio romano esprimono una musica intimista ed introspettiva che tocca in maniera immediata la parte più emotiva dell’essere umano.

Le ultime due tracce sono quelle che ascoltiamo con più interesse: la prima delle due (Dreamcatcher) si rende interessante senza stravolgere le precedenti tracce. Mi piace, inutile dirlo, e la ascolto dall’inizio alla fine con piacere e rimanendo nel mio stato d’animo sognante che mi ha accompagnato dall’inizio. L’ultima traccia (Peaks) ci mostra un lato inaspettato, dove le chitarre si fanno più distorte e si respira un’aria di cambiamento e di rivoluzione. Forse gli Echo Atom ci vogliono preannunciare sonorità diverse in vista del prossimo album, e non può che farmi piacere questa conclusione, come le serie tv finiscono sempre con quella scena di suspense che ci lascia con l’amaro in bocca e ci fa dire “E adesso cosa succederà?”

I ragazzi si confermano come un astro nascente del panorama Post rock/Prog italiano e siamo fieri di loro. Ci auguriamo di vederli al più presto sui palchi che meritano.

Bravi! Ora però vogliamo dare loro un consiglio: portate la nostra bandiera all’estero!

Voto: 8

ECHO ATOM :

Walter Santu – chitarra

Giuseppe Voltarella – basso

Alessandro Fazio – batteria

Listen to Echo Atom “Redemption”

https://www.facebook.com/echoaatom

https://www.deezer.com/album/59252192

https://open.spotify.com/album/2JrJGHmK0T2URR9EXPbVbN

ECHO ATOM : “Redemption”

Data di uscita: 23 marzo 2017

Produzione artistica: Walter Santu

Distribuzione: Audioglobe



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Charun: “Mundus Ceneris”, viaggio tra le anime

Charun: “Mundus Ceneris”

viaggio tra le anime
Questo pomeriggio ho ascoltato “Mundus Cereris” dei CHARUN, quartetto postrock/postmetal di stampo strumentale.


 

Ho pensato che fosse sicuramente un lavoro degno di nota già prima di ascoltarlo, quando ho letto che il master è stato curato da James Plotkin (Amenra, Isis, SunnO))), Earth).

Ma mi sono detta… andiamo, non sono mica una di quelle che bada solo ai nomi, no? Ascoltiamo! E così è stato. Una conferma, fin dal primo ascolto.


Già il titolo dell’album, “Mundus Cereris”, fa riferimento ad un antico rito di tradizione romana e, da brava amante della storia e del latino, questo non può aver fatto altro che affascinarmi. Il “Mundus Cereris” è l’apertura del mondo in due spicchi, un’apertura che permette il collegamento tra le anime e le ceneri terrene, un’avvicinarsi alla luce tramite una vera e propria purificazione. E se iniziate ad ascoltare l’album mentre leggete le mie parole, in questa breve e personalizzata spiegazione sono sicura che troverete parecchie conferme di ciò che sto dicendo.

“Malacoda” inizia con quel suono buio, scuro, a tratti demoniaco. Quel sottofondo di voce elettronica che ti tiene incollato all’ascolto, un po’ come se stessi guardando un film horror, ma di quelli belli però, quelli senza splatter casuale. Quelli che, quando la canzone si apre totalmente, tra le stridenti chitarre come urli di anime dannate, ti sembra di vedere spiriti, fantasmi, spettri, il tutto in una dimensione forse parallela alla nostra. E non riusciamo più a capire quale sia il bene e quale sia il male.



Situazione che si rafforza e si fortifica con il secondo brano, “Mae”. Un tocco scuro, aggressivo, volutamente ripetitivo. Se dovessi trasformarlo in immagine, penserei ad un vortice di anime che continuano a girare, girare, forse sperare, in un vortice che sanno, sono coscienti, di essere senza meta. Una specie di girone dell’Inferno. E questa sensazione si prolunga per gli otto minuti della canzone che, per gli amanti del genere, non risulteranno mai troppo lunghi. Cadenzate le ritmiche a partire dal secondo minuto, un tocco doom che si sposa perfettamente con il genere. E’ intorno a metà del quarto minuto che la canzone si addolcisce, di alleggerisce quasi con delle armonie spezzate, mentre la ritmica ripetitiva lascia presagire un’esplosione a breve. Aumenta, aumenta sempre di più fino al settimo minuto, come un climax ascendente… e poi si placa, lasciando un senso di incompletezza.

Inizia così “Laran”, la terza traccia dell’album. Intorno al secondo minuto ci soddisfa a pieno, riempiendo le nostre orecchie di pura essenza post rock. Lanciandoci nel cosmo e nel vuoto a vorticare assieme alle anime, tra volute dissonanze arrabbiate che si placano al quinto minuto circa. Alterniamo questo senso di pace fittizia a quella che invece è l’ansia che ci crea questo viaggio burrascoso ed allo stesso tempo affascinante.

“Nethus” è un brano di puro ascolto che ho personalmente trovato molto affascinante. Ricorda lo scorrere del tempo, lo scorrere della natura, di una forza maggiore che non siamo in grado di controllare. Una forza maggiore che non sappiamo neanche identificare in qualcosa, ma sappiamo semplicemente che c’è, che esiste. Cauta la musicalità, cadenzata, sperimentale a tratti, tra effetti e melodie dolciastre.

“Menura” prosegue con l’intenzione di Nethus, melodie rese gentili e carezzevoli questa volta dalle chitarre, arpeggi delicati che ci accompagnano fino alla fine del brano, per quasi dieci minuti.

“Vanth” cambia radicalmente scenario, caotico, apocalittico. Qui si annusa facilmente un arrangiamento post metal più che post rock già dai primi secondi d’ascolto. Con le sue melodie distorte, personalmente Vanth è la mia traccia preferita dell’album, in quanto corona perfettamente il senso profondo di tutto questo viaggio della durata di circa quaranta minuti.

Un ascolto che consiglio a tutti gli appassionati del genere post rock con uno stampo un po’ più heavy del classico viaggio spirituale. Questo è un viaggio di natura differente. Da goderselo tutto.

Voto: 8.5

Membri:

Nicola Olla – chitarra
Valerio Marras – chitarra
Simo Lo Nardo – basso
Daniele Moi – batteria

TRACKLIST:

1.Malacoda
2.Mae
3.Laran
4.Nethuns (feat. Stefano Guzzetti)
5.Menvra
6.Vanth


Masterizzato da James Plotkin (Amenra, Isis, SunnO))), Earth), mixato da Nicola Olla al Blacktooth Studio (Drought, December Hung Himself), e registrato da Simo Lo Nardo, Nicola Olla e Daniele Manca al DIY Studio (Scornthroats, My Own Prison, Second Youth). Grafica a cura di Andrea Marcias.

LABEL: THIRD-I-REX (UK)

Contatti:

Facebook: https://www.facebook.com/charunband/

https://www.youtube.com/watch?v=OLeVSH782bI

J. Postrock.it

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DOM dei SAN LEO, parlano la natura, l’alchimia e l’esoterismo medievale

DOM dei SAN LEO

parlano la natura, l’alchimia e l’esoterismo medievale
Oggi postrock.it parlerà di DOM dei SAN LEO.


Come è mio stile fare, scriverò questa recensione durante l’ascolto dei brani. Già prima di fare play, comunque, sono rimasta molto stupita dalla scelta delle tematiche di questo duo. Leggere l’introduzione al loro album e la loro biografia è stato sufficiente per attirare la mia attenzione. Il duo di Rimini, infatti, attivo dal 2013, si è da sempre ispirato all’esoterismo medievale, all’alchimia, alla forza primordiale degli elementi naturali. E con queste nozioni appena lette, mi tuffo nell’ascolto vero e proprio.



La prima traccia si intitola “L’antico monile era custodito all’interno della tempesta di sabbia: a causa del suo fascino molti non avevano fatto ritorno”. Interessante innanzi tutto l’idea di mettere un breve riassunto, una spiegazione di quello che si andrà ad affrontare durante l’ascolto.

Il brano simula, spiegazione data dai musicisti, una tempesta di sabbia che si raccoglie, dopo il turbinio musicale iniziale, in una melodia. Un pacifico arpeggio prima della tempesta, infatti, attira l’attenzione dell’ascoltatore. Il suono è mio parere volutamente sporco, ibrido “kraut-rock”, lo definiscono loro, in salsa post-hardcore. Dal quinto minuto circa, infatti, ritorna la tempesta, ritmiche particolari, sound aggressivo che si conclude con l’eco di una calma apparente. La forza della natura si percepisce come innata, si percepisce come qualcosa di indomabile, lontana dalla nostra umana prospettiva delle cose. Molto lontana.


La seconda traccia è “Riportati alla vita dal freddo severo dell’alba, si risvegliarono nella distesa di erba inaridita: un incendio di colori in cielo, i palmi delle loro mani aperti in un gesto di totale determinazione”. La calma apparente del brano precedente sembra continuare con questo inizio melodico, riflessivo, sinistro. Inquietante il messaggio musicale che viene percepito, atmosfere cupe, quasi “doom”, eccezione fatta per la scelta dei suoni. Anche in questo brano, bisogna attendere il quinto minuto circa prima dell’esplosione, nuovamente le ritmiche capovolgono la situazione, i riff lenti s’intrecciano con le creative percussioni, per poi lasciar stridere le corde come le unghie su una lavagna. Accenni di synth verso la fine danno un tocco più sperimentale al crudo suono iniziale

“Il tuffo nell’acqua gelida e giù attraverso filamenti di luce liquida, affondando nelle tortuosità di un antico tormento” è un ascolto decisamente differente dagli altri due. Le sonorità sono più limpide, più pulite, selezionati riff che ricordano il free-jazz fusi ad un rock psichedelico non tradizionale. Forte senso di inquietudine viene trasmesso nel finale, forse si tratta proprio del tormento citato nel titolo.

Concludiamo con “Intrappolato in un sogno ricorrente, percorrendo l’oscuro corridoio su un tappeto di ossa, richiamato da echi di voci lontane”. Il brano mostra perfettamente la creatività ritmica del batterista, cosa che tra l’altro avevo appreso anche durante i precedenti ascolti. Le ritmiche sono particolari, mai scontate, un approccio quasi da percussionista d’orchestra più che da batterista di un duo. Si percepisce ill feeling con la chitarra in una serie di numerosi botta e risposta tra i due strumenti, distorsioni elettriche si miscelano con sonorità crude e sporche.




Consiglio di ascoltare questi ragazzi soprattutto per l’inventiva, la creatività ed il coraggio di esprimere loro stessi e la loro arte con un prodotto così selettivo ma davvero valido. Un ascolto di nicchia che consiglio a tutti coloro che vogliono soffermarsi qualche secondo in più sul classico ascolto. Un ascolto non basta, un po’ come la lettura impegnativa di un buon libro. Bisogna leggerlo più volte per assaporare ogni dettaglio, ogni particolare, ritrovandosi su una pagina e dicendo: “Però… questa parte non ricordo di averla mai letta!”.

Ed è questo il bello degli ascolti più impegnativi. Forse non sono per tutti, forse non sono commerciali, forse rimarranno di nicchia per sempre, ma a noi piace rimanere tra “quei pochi” che non vanno subito oltre ma si soffermano. Un pochino di più, a volte… basta solo un pochino, per andare oltre.

Voto: 8

Tracklist:

  1. L’antico monile era custodito all’interno della tempesta di sabbia: a causa del suo fascino molti non avevano fatto ritorno.
  2. Riportati alla vita dal freddo severo dell’alba, si risvegliarono nella distesa di erba inaridita: un incendio di colori in cielo, i palmi delle loro mani aperti in un gesto di totale determinazione.
  3. Il tuffo nell’acqua gelida e giù attraverso filamenti di luce liquida, affondando nelle tortuosità di un antico tormento.
  4. Intrappolato in un sogno ricorrente, percorrendo l’oscuro corridoio su un tappeto di ossa, richiamato da echi di voci lontane.

Membri:

Marco Tabellini / m tabe – chitarra
Marco Migani / inserirefloppino – batteria

Registrato e mixato da Luca Ciffo / Fuzz Productions agli studi M24 di Milano
Masterizzato da Riccardo Gamondi al Fiscerprais studio Novembre 2016 Artwork / inserirefloppino

Prodotto da – BleuAudio (http://www.bleuaudio.com) / E’ un brutto posto dove vivere (https://eunbruttopostodovevivere.wordpress.com) / Brigadisco (http://www.brigadisco.it) / DreaminGorilla Records (http://dreamingorillarecords.is/wordpress/) / Vollmer Industries (https://www.facebook.com/VOLLMERindustries/) / Tafuzzy Records (http://www.tafuzzy.com) / Upwind Production (https://itsupwindproductions.tumblr.com)





Contatti:

http://sanleo.bandcamp.com/

https://www.facebook.com/sssanleooo

[email protected]

Booking:

[email protected]

J. – Postrock.it

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Wailing Of The Leonids dei When the Light Dies, una rivelazione dalla svizzera.

Wailing Of The Leonids

When the Light Dies
Solo il nome di questa band Svizzera (di La Chaux-de-Fonds) mi ha dato l’idea che fossero già “Famosi”. Non so perchè. Forse perché mi ricorda qualche altra band, forse perché semplicemente ci hanno azzeccato e basta.


L’Album che presentiamo oggi, uscito il 10 Marzo del 2017, si intitola “Wailing of The Leonids”, sotto l’etichetta Vitruve Records. 

L’Intro, The Ascent, catapulta immediatamente in un nuovo mondo. Il rumore del vento, con un sunto leggero in sottofondo di qualcosa di “alieno”, mi fa venire in mente un teletrasporto all’interno di una navicella spaziale. Non so se era esattamente questo il loro intento o meno, ma mi ha causato questa sensazione, coperta da un velo di inquietudine generale. E le emozioni forti, a me, son quelle che piacciono di più. Questo “rumore”, che poi rumore non è, ti lascia in una sensazione di sospensione fin dall’inizio, il synth appare più chiaro e delineato nell’ultimo minuto di Intro, una suspance un po’ horror che si conclude di netto, continuando come un “concept” vero comanda, con “The Irrelevant (question of time and distance)”. Appare una chitarra, dal nulla, poi una batteria, e qui il pezzo reale incomincia. Più potente e meno delicato di quanto possa essere il postrock al loro cospetto, direi che la loro influenza postmetal è più accentuata, sia come scelta di suono che come arrangiamento generale. La parte melodica appare comunque, immancabile, quasi al terzo minuto, proseguendo con una parte più carica dalle armonie delle chitarre ben delineate, definite, curate.

Con “Kassier Syndrome” rimangono all’attivo i suoni freddi e permane nella mia mente lo stesso scenario futuristico dell’inizio, con un’atmosfera se possibile ancora più pesante. I dieci minuti che trovo sulla barra d’ascolto non mi scoraggiano per niente, anzi, mi spronano ad andare avanti, fino alla fine, per sapere quale sarà lo scenario post-apocalittico che seguirà questo terzo step del concept album. “Divine” e “Nebula” sono sicuramente i brani più nitidi, luminosi, “allegri” per così dire dell’intero album. Sembra che l’atmosfera cupa dell’inizio si sia leggermente allontanata. Si alternano parti più aggressive a suoni melodici tipici dell’arrangiamento post rock strumentale, ma le armonie e la scelta dei suoni sono decisamente schiarite, soprattutto in “Nebula” che ha apparentemente il classico approccio di una ballata che va poi ad esplodere quasi al settimo minuto d’ascolto. Il mio punto in assoluto preferito dell’interno album. Undici minuti e cinquantadue secondi che non saranno tempo sprecato, ve lo assicuro. 

Con “Helix” (the eye of god) ritorna un suono scuro, decisamente più minaccioso dell’inizio, che ricade nell’arrendevolezza di queste poche note al  pianoforte negli ultimi secondi di traccia, che ricordano quasi lacrime scorrere lente. Con il fiato sospeso attendiamo l’ultima canzone, dal titolo dell’Album stesso. Ululati appaiono alle mie orecchie, suoni caotici, quasi come l’inizio, ma che hanno tutto un’altro sapore a fine brano. I synth futuristici riappaiono senza indulgenza, lasciando spazio lentamente alla chitarra, fin quando l’epopea del brano non spazza via ogni cosa: la parte più epica di tutto l’album appare di colpo circa al settimo minuto. Scene appena la dinamica dopo poco, per esplodere qualche minuto prima della fine, una seconda volta. Questa volta in modo radicale, definitivo. Un Caos però ben studiato, delineato, che non genera confusione ma bensì chiarezza a chi ascolta. A me, ha dato l’idea che questa navicella spaziale abbia preso il volo. 

I When the Light Dies non hanno nulla da invidiare a band da cui traggono ispirazione come Russian Circle, Isis o Pelican. 

Un vortice strumentale di estrema bellezza. Una vera rivelazione.

Voto: 9

Tracklist: 

  1. The Ascent (Intro)
  2. The Irrelevant (question of time and distance)
  3. Kessier Syndrome
  4. Divine
  5. Nebula
  6. Helix (the eye of god)
  7. Wailing of the Leonids

Contatti:

http://wtld.bandcamp.com

www.soundcloud.com/wtld

www.igroove.ch/product/1089/ep/

www.twitter.com/Whenthelightdies

J. Postrock.it

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Echo Atom: un trio postrock/prog che merita davvero.

Echo Atom

Un trio postrock/prog che merita davvero
Dopo queste vacanze natalizie appena trascorse, beh, è un piacere ripartire con gli Echo Atom.


Questi tre ragazzi (Walter Santu – chitarra, Giuseppe Voltarella – basso e Alessandro Fazio – batteria) si sono riuniti nel luglio del 2016 creando questo sound dalle chiare tendenze post rock/progressive. Musica puramente strumentale e che quindi parte con un punto a favore per mio gusto personale.

Su Soundcloud potete ascoltare solo tre brani, ma ne vale davvero la pena incominciare da questi, con la speranza di avere al più presto un Album tra le mani.

Redemption è il loro primo singolo, prima canzone che potete ascoltare sul sopracitato sito.

A primo impatto sono apparsi nella mia mente gli Explosions in the Sky. A tratti, ho visionato i Caspian, proprio perché la chitarra sembra essere lo strumento principale in questa prima canzone. Un viaggio attraverso vari scenari il cui scopo ultimo è chiaramente la redenzione. Le immagini subentrano nitide davanti agli occhi semplicemente ascoltando, il che significa che sono riusciti nel loro intento.

La seconda canzone Path, è caratterizzata da un bel giro di basso, che dona un valore aggiunto rispetto alla prima canzone. La chitarra non passa comunque mai in secondo piano, soprattutto nell’ultima parte della canzone che assume un sound più moderno che non mi dispiace per niente. Sono sempre pro sperimentazione, soprattutto quando si possono fare grandi cose con solo tre strumenti. Il brano non risulta mai vuoto, nonostante tutto, ed è una grande riuscita.

L’ultimo brano, che sto ascoltando proprio in questo momento, si intitola Awakening.

Chissà perché ogni volta che ascolto la “terza canzone”, in generale, di qualche album… trovo sempre che sia la più bella. Ed anche in questo caso è così, secondo mio gusto personale. L’inizio della canzone è post rock allo stato puro, si crea finalmente l’ambient che ho sempre ricercato in ogni singola canzone che ascolto. La chitarra non abbandona un giro armonico molto orecchiabile, unendo un urlo strumentale che appare quasi come un synth. Dopo il primo minuto, anche meno, la parte “prog” che influenza il trio ritorna in vita anche in quest’ultimo brano, unendo, amalgamando, fondendo completamente i due generi.

Che dire, Echo Atom, ottimo lavoro… e adesso aspettiamo il vostro disco!

Voto: 7 

Tracklist:

1. Redemption
2. Path
3. Awakening

Membri:

Walter Santu: Chitarra
Giuseppe Voltarella: Basso
Alessandro Fazio: Batteria

Contatti: 

https://soundcloud.com/user-241124265

https://www.facebook.com/echoatom/

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Still the Echo dei Red Light Skyscraper: un album da non perdere

Still the Echo

Red Light Skyscraper
Still the Echo dei Red Light Skyscraper: un album da non perdere


I Red Light Skyscraper da Siena mi hanno lasciata davvero impressionata.

Nonostante un orecchio attento riesca a sentire la loro scelta di registrare in presa diretta (al Virus Recording Studio), beh, la cosa non mi è dispiaciuta affatto. Anzi, l’essenza del loro sound è stata perfettamente catturata proprio grazie a questa scelta. Sicuramente il tocco di Frank Akrwright (Joy Division, The Smiths, Arcade Fire, Mogwai) degli Abbey Road Studios di Londra ha dato un’enorme mano nel rendere ancora più atmosferico questo disco.


Il tema principale che Still the Echo dovrebbe trasmettere, e a mio parere ci riesce molto bene, è il viaggio interiore di ogni singolo individuo. Vuole togliere ogni filtro, ogni freno inibitore e lasciare che l’ascoltare venga travolto dalle sensazioni.

Ed è quello che sta accadendo a me durante ogni singola traccia, a partire da Don London. Le chitarre sono molto crude, a tratti dure, ma la natura strumentale dei brani è anche questa.

Un’esplosione di suoni che alterna le atmosfere più scure a quelle più armoniche, come nel caso di Yugen, la mia preferita. Lascia quella vena malinconica fin dalla prima nota, per poi esplodere quasi dopo un minuto in un’insieme di suoni, che smuove in me un vero e proprio Caos interiore, fino al termine sospeso del brano stesso, che ti lascia senza fiato.

L’inserimento della voce in Necessary and Sufficient Condition ha in parte spezzato l’atmosfera creata con Yugen, ma anche questo sembra studiato e voluto, per poi tornare a sognare con l’intro di Sleep on it.

Un album davvero consigliato, soprattutto perché il messaggio che i Red Light Skyscranner volevano trasmettere con quest’album, è stato pienamente ricevuto.




Voto: 7

Autore: Red Light Skyscraper
Anno: 2017
Genere Musicale: Post Rock, strumentale
Label: /
Titolo album: Still of Echo
Sito web: www.redlightskyscraper.com
Facebook: https://www.facebook.com/RedLightSkyscraper/
Instagram: https://www.instagram.com/redlightskyscraper_band/
Twitter: https://twitter.com/rls_band

Tracklist: 

  1. Don London
  2. Luke
  3. Yugen
  4. I Think of Her Like a Home
  5. Necessary and sufficient Condition
  6. Sleep on It
  7. Wander

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Il nuovo Album di Misto: Helios

Helios

Il nuovo Album di Misto
Helios è un album oltre ogni aspettativa.


E’ difficile credere che sia stato partorito da una one man band, Mirko Viscuso alias Misto. Polistrumentista genovese classe 1985 che non ci delude, in questo secondo capitolo. Dopo svariate esperienze nel panorama genovese (The Pottos e McNamara Playground Heroes), Misto abbandona le logiche ed i ritmi tipici della band, lanciandosi in questo panorama sperimentale che sta dando in maniera decisiva i suoi frutti.

L’ ’EP di esordio “Infinite Mirrors” è stato interamente autoprodotto e rilasciato a Febbraio del 2016.

E ora Helios: un sound più maturo, più accurato, influenzato da svariati generi affini: stoner, sludge metal, shoegaze, elettronica, ambient.

La parte elettronica è estremamente curata, la scelta dei suoni non delude e si fonde perfettamente con le armonie della chitarra. La parte sperimentale è palese in ogni brano, a partire dall’unione di synth che ricreano un ambient quasi orchestrale (come in Daffodils Crashing Into The Water) all’esplosione delle chitarre distorte. Helios è il brano che realmente merita di dare il titolo all’album, personalmente il mio preferito insieme a Buried Under Remote Lands. L’intreccio e la scelta degli arrangiamenti lasciano trapelare una buona conoscenza dell’armonia e delle basi di composizione. Cori, synth, tutto esplode con Helios dal minuto 2:30, per poi cambiare come una vera e propria rapsodia a partire dal minuto 4:30.

Melodie in grado di portarti in un vero e proprio viaggio attraverso i sensi, la mente divaga, rimane coinvolta fino all’ultimo pezzo, “Time To Destroy My Life Capsule”, che già dall’inizio fa intuire un po’ quella vena malinconia di quando qualcosa sta per giungere alla fine.

E questo sentimento si protrae fino alla fine del brano.

J. – Postrock.it 

Voto: 8




Autore: Misto
Anno: 2017
Genere Musicale: Post Rock
Label: /
Titolo album: Helios
Ufficio Stampa: Tri Tuba Press (https://www.facebook.com/Tritubba/)
Sito web: https://www.facebook.com/mistoband/

Tracklist: 

  1. Buried Under Remote Lands
  2. 2. Polemic Guy Wants To Fight
  3. Daffodils Crashing Into The Water
  4. Set Your Firearms Against The Sun
  5. Helios
  6. Time To Destroy My Life Capsule

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