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AUGURE – APNEA
Avete mai immaginato di volare? 
Augure – trio post-rock/shoegaze di Caserta (CE), formato da Simona Uccella (Basso), Marco Pagliaro (Batteria) e Domenico D’Alisa (chitarra).
L’album inzia con una melodia intensa, trasportante, che ci conduce attraverso i cancelli della mente, e oltre. Un suono Synth si alterna con suoni analogici, strumenti e vibrazioni si fondono e creano una pasta sonora degna dei God Is An Astronaut. Non ci sono esplosioni, nessun colpo di scena, questi suoni sembrano fatti per farti chiudere gli occhi e sognare.
 
E’ così che da Inhale passiamo a Ruunt. Il nostro viaggio è ormai iniziato, abbiamo lasciato gli ormeggi e stiamo navigando nel mare sonoro e caldo degli Augure. Un cielo scuro e nuvoloso ci accompagna lungo il nostro viaggio, colpi di tamburo risuonano in questa seconda traccia, un suono scarno, senza troppi effetti, mi ricorda il suono dei remi nell’acqua torbida di questo mare sonoro.


Il basso si staglia imponente lungo l’orizzonte, e con il suo ritmo pressante da spazio ad una chitarra dolce, una melodia che piange e risuona negli abissi di questo mare.

Jakob, Mogwai, Mamiffer, Slowdive, Isis, Bark Psychosis arrivano chiari fin da subito alla nostra mente. Le onde si alzano durante “The Hunt”, e la nostra meta è ancora lontana, e ad occhi chiusi continuiamo a remare, facendoci strada tra senso e melodia. Tutto torna, tutto ha una spiegazione per gli Augure, riverbero e delay fanno da padroni in questo scenario che mi lascia una sensazione omerica, una voglia di viaggiare senza fermarmi.

I suoni di chitarra si intrecciano, si moltiplicano, si uniscono, Sembrano quasi voci di sirene che ci chiamano da lontano, da un posto ignoto che solo i componenti della band conoscono. Un tuono rieccheggia con l’inizio di “La Chute”, un’onda ci colpisce e ci ritroviamo sott’acqua. I suoni rimangono caldi, profondi, e tutto viene permeato da un suono imperante…qualcuno urla in lontananza, una richiesta di aiuto forse, voci sperse nel vuoto della mente.


Überlauf ci riporta in superficie, afferriamo i remi, torniamo a pensare alla nostra meta, riprendiamo il viaggio.

Qua il ritmo incalzante della batteria fa da padrone, e ci spinge a remare con forza, per riprendere in mano il nostro destino. La chitarra non molla, tiene il ritmo, è distorta ora, accompagna suoni riverbersosi e tanto delay, effetti usati con sapienza e maestria. Per chi Apprezza il genere, gli Augure sono sicuramente una band valida, da ascoltare.

Bisogna aprire le porte a questi ragazzzi, dargli lo spazio che si meritano, e lasciare che siano loro a raccontare il loro album attraverso i momenti che si accompagnano. Questa è una di quelle band in cui forse la suddivisione delle tracce è superflua, perchè la realtà è che album come questi andrebbero ascoltati dall’inizio alla fine, senza play e senza stop.
Un turbinio sonoro che evoca immagini e suoni come conigli dal cilindro.
“A cloud of Gray”, una nuvola grigia sorvola il cielo, grande, enorme, e noi non possiamo fare altro che stare a guardarla, dalla nostra piccola barca, e ci sentiamo piccoli di fronte a questo spettacolo. La chitarra ci accompagna flebile, così come la batteria che stavolta sceglie di accompagnare il pezzo in modo sommesso. Il basso si muove con suoni lenti e caldi, segue la nuvola.


Poi il cambio improvviso: Dalla nuvola cade un fulmine, proprio davanti a noi. La pioggia cade forte ora tutto intorno a noi, le onde ci fanno oscillare sulla nostra barchetta, e sentiamo tutto il potere della natura di fronte a noi. Il pezzo si ferma, la nuvola è passata, la vediamo ancora chiara li, ma ora sta andando oltre, non ci riguarda piu’, e noi con fare Dantesco ci sentiamo di non doverci soffermare, abbiamo un compito che ci attende, e la band ci invita a proseguire come buon Virgilio.

Siamo approdati su una terra spoglia, fredda, siamo all’ingresso di una caverna, ci guardiamo intorno senza trovare punti di riferimento.
“Exhale”, ultima traccia. La band continua ad accompagnarci in questo viaggio, ci vuole mostrare qualcosa, e noi ci lasciamo accompagnare fiduciosi. La batteria risuona martellante, eppure rimane in secondo piano, lasciando spazio ad una chitarra che stavolta suona una litania, un lamento che ci pervade. Questi lamenti provengono forse dalla caverna di fronte a noi? Qualcuno laggiu’ piange, soffre, e noi rimaniamo in ascolto. Il basso ci lascia intravedere una luce nel fondo, colori caldi, fuoco forse, delle torce accese. C’è vita laggiu’, c’è qualcosa. Gli Augure ci mostrano l’entrata, e noi con un cenno decidiamo di accettare l’invito, e con un passo ci addentriamo nell’oscurità fredda.
 
Qui termina il lavoro di questa band, che ha saputo creare un lavoro interessante, un album che ci lascia con la sensazione di dover continuare, un capitolo di un libro che chiede per forza un altro capitolo. E noi li lasciamo con la speranza di rivederli presto sulla scena, per raccontarci l’evoluzione di questo lavoro, con il prosequio di una storia che si promette epica.
 
Paolo M. – Postrock.it
 
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