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The Journey of Eric Taylor: Reroute

REROUTE

The Journey of Eric Taylor
La forma artistica di Reroute è molto intensa, un grido anarchico che rompe gli schemi della tradizione, immergendoci in un mondo a tratti onirico, a tratti pittorico.
The Journey of Eric Taylor.

I toni cupi si sentono già dalla prima traccia, “Prolog”. Un prologo ci introduce in un mondo lento e cadenzato per poi assumere una forma impulsiva, di piena forza che si scioglie solo nell’intro del primo vero brano, “In Distance”.

Ritorna il ritmo volutamente ripetitivo e che si fonde con una melodia dall’atmosfera avanguardistica.

La sensazione di qualcosa che sta per esplodere ci avvolge costantemente ma non arriva prima del minuto 2:41, dove ci invade completamente con una cavalcata graduale fino alle armonizzazioni delle chitarre che scompaiono di colpo in un finale nuovamente tetro, dalle luminescenze oscure, espressioniste.

Luci e ombre si alternano nuovamente in “Hysteria”, arpeggi che lasciano presagire, anche qui, un qualcosa di ultra terreno.

L’attesa ritorna straziante, ricrea un habitat volutamente pittoresco, una città onirica in cui è facile perdersi. Le melodie si intrecciano, non si percepisce la realtà dalla finzione, il sogno dal reale. Un cenno di realtà lo abbiamo dal minuto 2:32, dove ci si sveglia dall’incubo, si cercano spiegazioni che culminano in una vera e propria isteria di suoni che ci accompagnerà fino al finale. Un finale che ci dice “voglio svegliarmi”.

Il mondo onirico ci cattura nuovamente in “Memo”, un suono nuovamente ripetitivo, la lancetta di un orologio, una campana che tenta di svegliarci, un metronomo, un pendolo che ci ipnotizza.

E quello dell’ipnosi non è un mondo onirico, ma ci assomiglia. Un mondo interiore, iniziamo a graffiare cercando l’uscita, dal minuto 4:02 iniziamo ad urlare, vogliamo andarcene anche da qui.

“912” ci convince per qualche secondo che forse, abbiamo trovato l’uscita. E allora iniziamo a correre. Corriamo, saliamo delle lunghissime scale. Continuiamo a correre come la donna che sale le scale, nella celebre opera di Legèr. Allora aumentiamo il passo, ma non vediamo mai l’arrivo, le scale non finiscono. E allora al minuto 3:45 ci arrendiamo, passiamo dalla corsa al cammino, per poi riprovarci più avanti. Ma l’arrivo non si vede.

“Decay of Dream” ci accoglie con degli archi malinconici, l’arpeggio suggessivo ci riporta nella tetra ambientazione di un film dal tratto pittorico, dal sapore nuovamente espressionista. Toni cupi, tetri, ombre che si fondono con fioche luci. Un brano di ben 11:14 che lascia trasparire la pesantezza del tema ma non dell’ascolto. Martellante il finale che manifesta e sottolinea la presenza di un’arte nuova, urlando la sua esistenza in un mondo dissacrante.

Più triste che malinconico è l’inizio di “Shutter”, come una presa di coscienza. L’intera traccia è un evolversi in maniera equilibrata, si aggiunge sempre un pezzettino nuovo che completa l’opera. Perde un po’ il suo ambiente pittorico, ma esce dal coro con intelligenza, dando una ventata di cambiamento però mai fuori luogo, mantenendo una linea anti convenzionale, anti naturalistica.

“Awakening” ci sussurra che siamo alla fine di questo viaggio e ci riporta con i piedi per terra.

La forma artistica di Reroute è molto intensa, un grido anarchico che rompe gli schemi della tradizione, immergendoci in un mondo a tratti onirico, a tratti pittorico. Consigliato.

VOTO: 9

CONTATTI:

Facebook:

https://www.facebook.com/TheJourneyOfEricTaylor/

Instagram:

https://www.instagram.com/thejourneyoferictaylor/

Website:

http://www.the-journey-of-eric-taylor.com/

Bandcamp:

https://thejourneyoferictaylor.bandcamp.com/

Youtube:

https://www.youtube.com/channel/UC6PblpeaRz3X8U_fIv-rCFA

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Soundcloud:

https://soundcloud.com/user-582263497

Twitter:

https://twitter.com/tjoet_band

 

J. – Postrock.it

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Artura: Drone – Il mondo visto dall’alto

Artura: Drone

Il mondo visto dall’alto
Avete mai immaginato di volare?

No, dico sul serio. Pensate di trovarvi di fronte ad una scogliera, in una notte gelida d’inverno. Immaginate le onde gigantesche di fronte a voi, la brezza marina che sferza il vostro viso, i capelli al vento. Immaginate di aprire le braccia, di chiudere gli occhi…e ora, lanciatevi.

Ecco quello che suscita fin da subitto l’ascolto di questo album profondo e intenso degli Artura. Un album che mischia suoni artificiali e analogici con grande abilità, e ci proietta in un mondo in cui la tecnologia diventa parte di noi.

Artura, è la nuova creatura musicale creata da Matteo Dainese aka Il Cane, in collaborazione con Tommaso Casasola e Cristiano Deison.

In quest’epoca in cui la tecnologia si fonde con la realtà, e il nostro punto di vista diventa inevitabilmente quello delle macchine che noi stesso abbiamo creato, ci sentiamo di fonderci ulteriormente nell’ascolto di Drone, e grazie alla fusione di immagini e sensazioni, sorvoliamo le onde sonore immersi in questo oceano di Realtà aumentata.

Artura, la mitica gatta de La Cuccia Studio, Drone, il titolo ma anche lo strumento utilizzato perregistrare i video che accompagneranno diversi brani del disco, ed infine lo Space Echo, l’ effetto,attraverso il quale sono stati processati tutti gli strumenti del primo album. Questi sono i tre elementi che creano l’alchimia, sentiamo le fusa risuonare, osserviamo il mondo dall’alto con le bellissime immagini regalateci da questi tre ragazzi, ascoltiamo interessati l’evolversi di quest’album.

Un primo lavoro che ha dell’interessante. A tratti ci ricorda qualcosa di già sentito, saranno le sonorità un pò anni ’70, questo basso imperante un pò Pink Floyd, a tratti ci regala qualcosa di inaspettato, e capiamo che la band non si volta indietro, ma guarda al futuro. Se gli anni ’70 sono sicuramente un punto di partenza, qui c’è molto, molto altro, e sicuramente c’è una volontà di sperimentare aldilà del semplice album.


Sorvoliamo questo album, iniziamo da Estranei: Sonorità misteriose, suoni spaziali, aperti, onde sonore, un cielo inesplorato. Fusa: Un ambiente che ha del magico, un basso corposo, suoni digitali ammalianti. Un suono che nel complesso ci fa pensare a forme eleganti che si muovono nel buio della notte, come quelle di un gatto. Sarà per suggestione, sarà per la gatta de La Cuccia Studio, e poi troviamo la conferma nelle ipnotiche fusa che si diffondono durante la traccia. Mona, questa volta si respira qualcosa che ha dell’esotico, forse le percussioni sono le magiche responsabili di questa sensazione.

La Chitarra canta e voci metalliche suonano un motivo che è a dir poco psichedelico.

Tutto scompare e ci troviamo alle porte dell’ignoto con Ostica: qui ci troviamo catapultati in un film di Kubrick, viaggiamo dispersi in un vuoto cosmico che lentamente ci soffoca. Segnali radio ci attraversano da parte a parte, qualcosa si muove nell’oscurità, qualcosa viveva e respirava molto prima di noi, ma non ci è dato sapere. Artengo è un simpatico gioco di suoni analogici e digitali, qui siamo sulla terra, molto piu’ di quanto non ci fossimo già prima. Ci lasciamo ipnotizzare da suoni apparentemente banali, come quello di una pallina da ping pong che rimbalza ripetutamente e si trasforma in ritmo sonoro per nulla scontato. Zeno è la svolta: ora corriamo a bordo di una moto futuristica per le strade di una Tokyo cyberpunk.

Siamo immersi in un anime dal carattere decisamente orientale, qui le pagine le leggiamo al contrario e ci sentiamo sottosopra, qui a grande velocità corriamo.


Rojo, diventiamo riflessivi, i circuiti rallentano, gli occhi robotici ci fissano con inespressività, e noi restituiamo lo sguardo chiedendoci se c’è coscienza dall’altra parte, l’eterno dilemma, l’eterna ossessione della civiltà del ritorno al futuro. Gurken prosegue con un gioco di colori, ci manda su e giu’ come su un altalena. Suoni allegri, ci sentiamo quasi bambini, e giochiamo con il ritmo e con le nostre scarpette da doposcuola. Massive, lo dice il nome stesso, è un pezzo importante, massivo, e ci ipnotizza subito con l’alternanza dei suoni digitali e le melodie un pò lounge da film anni ’80. Chiudiamo in sospensione con Hostess, che ci lascia con un interrogativo importante: dove ci porterà tutto questo progresso? dove ci porterà la sperimentazione, dove siamo diretti, la società, le regole, i suoni, i rumori, i robot, le orchestre classiche, è finito tutto dentro un gigantesco frullatore, e ci ritroviamo shackerati, tanto che non sappiamo, non pensiamo, ma allo stesso tempo siamo e sappiamo.

Se il Post Rock, come abbiamo già raccontato in un nostro precedente articolo, è l’assenza di regole,  gli Artura seguono alla lettera la nostra descrizione.

Non li possiamo ingabbiare, non li possiamo ingrigliare, sono sfuggenti, svolazzanti, ma allo stesso tempo pulsa un cuore elettronico. Gli effetti digitali ci raccontano qualcosa di importante, lo sguardo al passato è importante se vogliamo dedicarci al futuro. Complimenti agli Artura, rimaniamo in attesa del vostro prossimo lavoro, un “In bocca al lupo” da tutti noi della redazione di Postrock.it

Matteo Dainese aka Il Cane: Drums, drum machine, percussioni, space echo, voce, basso,chitarre, piano.

Tommaso Casasola: Basso.

Cristiano Deison: Processing, sounds.

Paul – Postrock.it

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AUGURE – Apnea

AUGURE – APNEA
Avete mai immaginato di volare? 
Augure – trio post-rock/shoegaze di Caserta (CE), formato da Simona Uccella (Basso), Marco Pagliaro (Batteria) e Domenico D’Alisa (chitarra).
L’album inzia con una melodia intensa, trasportante, che ci conduce attraverso i cancelli della mente, e oltre. Un suono Synth si alterna con suoni analogici, strumenti e vibrazioni si fondono e creano una pasta sonora degna dei God Is An Astronaut. Non ci sono esplosioni, nessun colpo di scena, questi suoni sembrano fatti per farti chiudere gli occhi e sognare.
 
E’ così che da Inhale passiamo a Ruunt. Il nostro viaggio è ormai iniziato, abbiamo lasciato gli ormeggi e stiamo navigando nel mare sonoro e caldo degli Augure. Un cielo scuro e nuvoloso ci accompagna lungo il nostro viaggio, colpi di tamburo risuonano in questa seconda traccia, un suono scarno, senza troppi effetti, mi ricorda il suono dei remi nell’acqua torbida di questo mare sonoro.


Il basso si staglia imponente lungo l’orizzonte, e con il suo ritmo pressante da spazio ad una chitarra dolce, una melodia che piange e risuona negli abissi di questo mare.

Jakob, Mogwai, Mamiffer, Slowdive, Isis, Bark Psychosis arrivano chiari fin da subito alla nostra mente. Le onde si alzano durante “The Hunt”, e la nostra meta è ancora lontana, e ad occhi chiusi continuiamo a remare, facendoci strada tra senso e melodia. Tutto torna, tutto ha una spiegazione per gli Augure, riverbero e delay fanno da padroni in questo scenario che mi lascia una sensazione omerica, una voglia di viaggiare senza fermarmi.

I suoni di chitarra si intrecciano, si moltiplicano, si uniscono, Sembrano quasi voci di sirene che ci chiamano da lontano, da un posto ignoto che solo i componenti della band conoscono. Un tuono rieccheggia con l’inizio di “La Chute”, un’onda ci colpisce e ci ritroviamo sott’acqua. I suoni rimangono caldi, profondi, e tutto viene permeato da un suono imperante…qualcuno urla in lontananza, una richiesta di aiuto forse, voci sperse nel vuoto della mente.


Überlauf ci riporta in superficie, afferriamo i remi, torniamo a pensare alla nostra meta, riprendiamo il viaggio.

Qua il ritmo incalzante della batteria fa da padrone, e ci spinge a remare con forza, per riprendere in mano il nostro destino. La chitarra non molla, tiene il ritmo, è distorta ora, accompagna suoni riverbersosi e tanto delay, effetti usati con sapienza e maestria. Per chi Apprezza il genere, gli Augure sono sicuramente una band valida, da ascoltare.

Bisogna aprire le porte a questi ragazzzi, dargli lo spazio che si meritano, e lasciare che siano loro a raccontare il loro album attraverso i momenti che si accompagnano. Questa è una di quelle band in cui forse la suddivisione delle tracce è superflua, perchè la realtà è che album come questi andrebbero ascoltati dall’inizio alla fine, senza play e senza stop.
Un turbinio sonoro che evoca immagini e suoni come conigli dal cilindro.
“A cloud of Gray”, una nuvola grigia sorvola il cielo, grande, enorme, e noi non possiamo fare altro che stare a guardarla, dalla nostra piccola barca, e ci sentiamo piccoli di fronte a questo spettacolo. La chitarra ci accompagna flebile, così come la batteria che stavolta sceglie di accompagnare il pezzo in modo sommesso. Il basso si muove con suoni lenti e caldi, segue la nuvola.


Poi il cambio improvviso: Dalla nuvola cade un fulmine, proprio davanti a noi. La pioggia cade forte ora tutto intorno a noi, le onde ci fanno oscillare sulla nostra barchetta, e sentiamo tutto il potere della natura di fronte a noi. Il pezzo si ferma, la nuvola è passata, la vediamo ancora chiara li, ma ora sta andando oltre, non ci riguarda piu’, e noi con fare Dantesco ci sentiamo di non doverci soffermare, abbiamo un compito che ci attende, e la band ci invita a proseguire come buon Virgilio.

Siamo approdati su una terra spoglia, fredda, siamo all’ingresso di una caverna, ci guardiamo intorno senza trovare punti di riferimento.
“Exhale”, ultima traccia. La band continua ad accompagnarci in questo viaggio, ci vuole mostrare qualcosa, e noi ci lasciamo accompagnare fiduciosi. La batteria risuona martellante, eppure rimane in secondo piano, lasciando spazio ad una chitarra che stavolta suona una litania, un lamento che ci pervade. Questi lamenti provengono forse dalla caverna di fronte a noi? Qualcuno laggiu’ piange, soffre, e noi rimaniamo in ascolto. Il basso ci lascia intravedere una luce nel fondo, colori caldi, fuoco forse, delle torce accese. C’è vita laggiu’, c’è qualcosa. Gli Augure ci mostrano l’entrata, e noi con un cenno decidiamo di accettare l’invito, e con un passo ci addentriamo nell’oscurità fredda.
 
Qui termina il lavoro di questa band, che ha saputo creare un lavoro interessante, un album che ci lascia con la sensazione di dover continuare, un capitolo di un libro che chiede per forza un altro capitolo. E noi li lasciamo con la speranza di rivederli presto sulla scena, per raccontarci l’evoluzione di questo lavoro, con il prosequio di una storia che si promette epica.
 
Paolo M. – Postrock.it
 
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Echo Atom – Redemption: l’Italia si fa sentire

Echo Atom – Redemption

l’Italia si fa sentire 
È con immenso piacere che mi appresto ad ascoltare questo Album di esordio del trio Post Rock/Prog.
Echo Atom - Redemption
A Gennaio gli Echo Atom ci avevano già deliziato con il loro EP. Allora le canzoni erano solo tre, mentre ora ci troviamo di fronte ad un vero e proprio Album.



Potete leggere la precedente recensione sugli Echo Atom a questo link!

Se già allora il nostro voto era positivo, questo lavoro conferma quanto abbiamo già detto su di loro.


Il progetto Echo Atom prende luce nel luglio del 2016 da Walter Santu (chitarrista), Giuseppe Voltarella (bassista) e Alessandro Fazio (batterista). Nasce così questo trio molto affiatato e solido che nel tempo prende la direzione, per necessità e per scelta, di gruppo interamente strumentale.

La musica strumentale è una scelta delicata che non sempre riesce bene. Gli Echo Atom sono una piacevole sorpresa nel panorama italiano.


Un progetto ben strutturato, calibrato con maestria. Un progetto dove le chitarre si bilanciano perfettamente con i suoni di basso corposi e vellutati e che riempiono l’aria circostante e ci fanno respirare l’aria psichedelica e sognante che ha reso grande questo genere. La batteria non è borderline come in tante band. E uno strumento che segue, coinvolge, si rende talvolta protagonista, mentre in altri momenti riesce a rimanere sul bordo del palco mentre accompagna sommessamente gli altri strumenti.

Echo Atom - Redemption

Non stravolgono e non agitano, ma ci invitano a chiudere gli occhi e a sognare, a lasciarci cullare. Sono un sogno che si fa da bambini, quando l’ingenuità e la semplicità fanno da sfondo a colori tenui e leggeri.

Tutta l’attenzione si focalizza sugli strumenti, dove Il suono e l’emozione si esprimono anche senza una voce. Una piccola tribù che comunica e si racconta attraverso una chitarra, un basso e una batteria.


La cinque tracce contenute nell’Ep del trio romano esprimono una musica intimista ed introspettiva che tocca in maniera immediata la parte più emotiva dell’essere umano.

Le ultime due tracce sono quelle che ascoltiamo con più interesse: la prima delle due (Dreamcatcher) si rende interessante senza stravolgere le precedenti tracce. Mi piace, inutile dirlo, e la ascolto dall’inizio alla fine con piacere e rimanendo nel mio stato d’animo sognante che mi ha accompagnato dall’inizio. L’ultima traccia (Peaks) ci mostra un lato inaspettato, dove le chitarre si fanno più distorte e si respira un’aria di cambiamento e di rivoluzione. Forse gli Echo Atom ci vogliono preannunciare sonorità diverse in vista del prossimo album, e non può che farmi piacere questa conclusione, come le serie tv finiscono sempre con quella scena di suspense che ci lascia con l’amaro in bocca e ci fa dire “E adesso cosa succederà?”

I ragazzi si confermano come un astro nascente del panorama Post rock/Prog italiano e siamo fieri di loro. Ci auguriamo di vederli al più presto sui palchi che meritano.

Bravi! Ora però vogliamo dare loro un consiglio: portate la nostra bandiera all’estero!

Voto: 8

ECHO ATOM :

Walter Santu – chitarra

Giuseppe Voltarella – basso

Alessandro Fazio – batteria

Listen to Echo Atom “Redemption”

https://www.facebook.com/echoaatom

https://www.deezer.com/album/59252192

https://open.spotify.com/album/2JrJGHmK0T2URR9EXPbVbN

ECHO ATOM : “Redemption”

Data di uscita: 23 marzo 2017

Produzione artistica: Walter Santu

Distribuzione: Audioglobe



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New Entry per i Northern Lines

New Entry per i Northern Lines

 
I Northern Lines annunciano ufficialmente l’entrata nella Band di un nuovo, importante elemento: Leonardo Disco!


Pianista, tastierista e laureando al Conservatorio di Musica “Licinio Refice” di Frosinone. La band promette così di regalarci qualcosa di interessante dal vivo e in studio!

Che dire, vi facciamo i nostri migliori auguri dalla redazione di Postrock.it e aspettiamo di vedervi in azione dal vivo. Siamo sicuri che il vostro sound ci regalerà presto qualcosa di nuovo e inatteso.

Leonardo va ad aggiungersi ad una band con un sound già molto ricco e dalle larghe vedute, che non potrà fare altro che migliorare la qualità di un album come “The Fearmonger” che già ci ha dato tanto!

Se vuoi leggere la recensione dell’album, clicca qui!

A presto ragazzi!

Paul – Postrock.it



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Echo Atom: un trio postrock/prog che merita davvero.

Echo Atom

Un trio postrock/prog che merita davvero
Dopo queste vacanze natalizie appena trascorse, beh, è un piacere ripartire con gli Echo Atom.


Questi tre ragazzi (Walter Santu – chitarra, Giuseppe Voltarella – basso e Alessandro Fazio – batteria) si sono riuniti nel luglio del 2016 creando questo sound dalle chiare tendenze post rock/progressive. Musica puramente strumentale e che quindi parte con un punto a favore per mio gusto personale.

Su Soundcloud potete ascoltare solo tre brani, ma ne vale davvero la pena incominciare da questi, con la speranza di avere al più presto un Album tra le mani.

Redemption è il loro primo singolo, prima canzone che potete ascoltare sul sopracitato sito.

A primo impatto sono apparsi nella mia mente gli Explosions in the Sky. A tratti, ho visionato i Caspian, proprio perché la chitarra sembra essere lo strumento principale in questa prima canzone. Un viaggio attraverso vari scenari il cui scopo ultimo è chiaramente la redenzione. Le immagini subentrano nitide davanti agli occhi semplicemente ascoltando, il che significa che sono riusciti nel loro intento.

La seconda canzone Path, è caratterizzata da un bel giro di basso, che dona un valore aggiunto rispetto alla prima canzone. La chitarra non passa comunque mai in secondo piano, soprattutto nell’ultima parte della canzone che assume un sound più moderno che non mi dispiace per niente. Sono sempre pro sperimentazione, soprattutto quando si possono fare grandi cose con solo tre strumenti. Il brano non risulta mai vuoto, nonostante tutto, ed è una grande riuscita.

L’ultimo brano, che sto ascoltando proprio in questo momento, si intitola Awakening.

Chissà perché ogni volta che ascolto la “terza canzone”, in generale, di qualche album… trovo sempre che sia la più bella. Ed anche in questo caso è così, secondo mio gusto personale. L’inizio della canzone è post rock allo stato puro, si crea finalmente l’ambient che ho sempre ricercato in ogni singola canzone che ascolto. La chitarra non abbandona un giro armonico molto orecchiabile, unendo un urlo strumentale che appare quasi come un synth. Dopo il primo minuto, anche meno, la parte “prog” che influenza il trio ritorna in vita anche in quest’ultimo brano, unendo, amalgamando, fondendo completamente i due generi.

Che dire, Echo Atom, ottimo lavoro… e adesso aspettiamo il vostro disco!

Voto: 7 

Tracklist:

1. Redemption
2. Path
3. Awakening

Membri:

Walter Santu: Chitarra
Giuseppe Voltarella: Basso
Alessandro Fazio: Batteria

Contatti: 

https://soundcloud.com/user-241124265

https://www.facebook.com/echoatom/

J. – Postrock.it

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Still the Echo dei Red Light Skyscraper: un album da non perdere

Still the Echo

Red Light Skyscraper
Still the Echo dei Red Light Skyscraper: un album da non perdere


I Red Light Skyscraper da Siena mi hanno lasciata davvero impressionata.

Nonostante un orecchio attento riesca a sentire la loro scelta di registrare in presa diretta (al Virus Recording Studio), beh, la cosa non mi è dispiaciuta affatto. Anzi, l’essenza del loro sound è stata perfettamente catturata proprio grazie a questa scelta. Sicuramente il tocco di Frank Akrwright (Joy Division, The Smiths, Arcade Fire, Mogwai) degli Abbey Road Studios di Londra ha dato un’enorme mano nel rendere ancora più atmosferico questo disco.


Il tema principale che Still the Echo dovrebbe trasmettere, e a mio parere ci riesce molto bene, è il viaggio interiore di ogni singolo individuo. Vuole togliere ogni filtro, ogni freno inibitore e lasciare che l’ascoltare venga travolto dalle sensazioni.

Ed è quello che sta accadendo a me durante ogni singola traccia, a partire da Don London. Le chitarre sono molto crude, a tratti dure, ma la natura strumentale dei brani è anche questa.

Un’esplosione di suoni che alterna le atmosfere più scure a quelle più armoniche, come nel caso di Yugen, la mia preferita. Lascia quella vena malinconica fin dalla prima nota, per poi esplodere quasi dopo un minuto in un’insieme di suoni, che smuove in me un vero e proprio Caos interiore, fino al termine sospeso del brano stesso, che ti lascia senza fiato.

L’inserimento della voce in Necessary and Sufficient Condition ha in parte spezzato l’atmosfera creata con Yugen, ma anche questo sembra studiato e voluto, per poi tornare a sognare con l’intro di Sleep on it.

Un album davvero consigliato, soprattutto perché il messaggio che i Red Light Skyscranner volevano trasmettere con quest’album, è stato pienamente ricevuto.




Voto: 7

Autore: Red Light Skyscraper
Anno: 2017
Genere Musicale: Post Rock, strumentale
Label: /
Titolo album: Still of Echo
Sito web: www.redlightskyscraper.com
Facebook: https://www.facebook.com/RedLightSkyscraper/
Instagram: https://www.instagram.com/redlightskyscraper_band/
Twitter: https://twitter.com/rls_band

Tracklist: 

  1. Don London
  2. Luke
  3. Yugen
  4. I Think of Her Like a Home
  5. Necessary and sufficient Condition
  6. Sleep on It
  7. Wander

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