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The Journey of Eric Taylor: Reroute

REROUTE

The Journey of Eric Taylor
La forma artistica di Reroute è molto intensa, un grido anarchico che rompe gli schemi della tradizione, immergendoci in un mondo a tratti onirico, a tratti pittorico.
The Journey of Eric Taylor.

I toni cupi si sentono già dalla prima traccia, “Prolog”. Un prologo ci introduce in un mondo lento e cadenzato per poi assumere una forma impulsiva, di piena forza che si scioglie solo nell’intro del primo vero brano, “In Distance”.

Ritorna il ritmo volutamente ripetitivo e che si fonde con una melodia dall’atmosfera avanguardistica.

La sensazione di qualcosa che sta per esplodere ci avvolge costantemente ma non arriva prima del minuto 2:41, dove ci invade completamente con una cavalcata graduale fino alle armonizzazioni delle chitarre che scompaiono di colpo in un finale nuovamente tetro, dalle luminescenze oscure, espressioniste.

Luci e ombre si alternano nuovamente in “Hysteria”, arpeggi che lasciano presagire, anche qui, un qualcosa di ultra terreno.

L’attesa ritorna straziante, ricrea un habitat volutamente pittoresco, una città onirica in cui è facile perdersi. Le melodie si intrecciano, non si percepisce la realtà dalla finzione, il sogno dal reale. Un cenno di realtà lo abbiamo dal minuto 2:32, dove ci si sveglia dall’incubo, si cercano spiegazioni che culminano in una vera e propria isteria di suoni che ci accompagnerà fino al finale. Un finale che ci dice “voglio svegliarmi”.

Il mondo onirico ci cattura nuovamente in “Memo”, un suono nuovamente ripetitivo, la lancetta di un orologio, una campana che tenta di svegliarci, un metronomo, un pendolo che ci ipnotizza.

E quello dell’ipnosi non è un mondo onirico, ma ci assomiglia. Un mondo interiore, iniziamo a graffiare cercando l’uscita, dal minuto 4:02 iniziamo ad urlare, vogliamo andarcene anche da qui.

“912” ci convince per qualche secondo che forse, abbiamo trovato l’uscita. E allora iniziamo a correre. Corriamo, saliamo delle lunghissime scale. Continuiamo a correre come la donna che sale le scale, nella celebre opera di Legèr. Allora aumentiamo il passo, ma non vediamo mai l’arrivo, le scale non finiscono. E allora al minuto 3:45 ci arrendiamo, passiamo dalla corsa al cammino, per poi riprovarci più avanti. Ma l’arrivo non si vede.

“Decay of Dream” ci accoglie con degli archi malinconici, l’arpeggio suggessivo ci riporta nella tetra ambientazione di un film dal tratto pittorico, dal sapore nuovamente espressionista. Toni cupi, tetri, ombre che si fondono con fioche luci. Un brano di ben 11:14 che lascia trasparire la pesantezza del tema ma non dell’ascolto. Martellante il finale che manifesta e sottolinea la presenza di un’arte nuova, urlando la sua esistenza in un mondo dissacrante.

Più triste che malinconico è l’inizio di “Shutter”, come una presa di coscienza. L’intera traccia è un evolversi in maniera equilibrata, si aggiunge sempre un pezzettino nuovo che completa l’opera. Perde un po’ il suo ambiente pittorico, ma esce dal coro con intelligenza, dando una ventata di cambiamento però mai fuori luogo, mantenendo una linea anti convenzionale, anti naturalistica.

“Awakening” ci sussurra che siamo alla fine di questo viaggio e ci riporta con i piedi per terra.

La forma artistica di Reroute è molto intensa, un grido anarchico che rompe gli schemi della tradizione, immergendoci in un mondo a tratti onirico, a tratti pittorico. Consigliato.

VOTO: 9

CONTATTI:

Facebook:

https://www.facebook.com/TheJourneyOfEricTaylor/

Instagram:

https://www.instagram.com/thejourneyoferictaylor/

Website:

http://www.the-journey-of-eric-taylor.com/

Bandcamp:

https://thejourneyoferictaylor.bandcamp.com/

Youtube:

https://www.youtube.com/channel/UC6PblpeaRz3X8U_fIv-rCFA

Empfohlenes Video:

 

Soundcloud:

https://soundcloud.com/user-582263497

Twitter:

https://twitter.com/tjoet_band

 

J. – Postrock.it

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Artura: Drone – Il mondo visto dall’alto

Artura: Drone

Il mondo visto dall’alto
Avete mai immaginato di volare?

No, dico sul serio. Pensate di trovarvi di fronte ad una scogliera, in una notte gelida d’inverno. Immaginate le onde gigantesche di fronte a voi, la brezza marina che sferza il vostro viso, i capelli al vento. Immaginate di aprire le braccia, di chiudere gli occhi…e ora, lanciatevi.

Ecco quello che suscita fin da subitto l’ascolto di questo album profondo e intenso degli Artura. Un album che mischia suoni artificiali e analogici con grande abilità, e ci proietta in un mondo in cui la tecnologia diventa parte di noi.

Artura, è la nuova creatura musicale creata da Matteo Dainese aka Il Cane, in collaborazione con Tommaso Casasola e Cristiano Deison.

In quest’epoca in cui la tecnologia si fonde con la realtà, e il nostro punto di vista diventa inevitabilmente quello delle macchine che noi stesso abbiamo creato, ci sentiamo di fonderci ulteriormente nell’ascolto di Drone, e grazie alla fusione di immagini e sensazioni, sorvoliamo le onde sonore immersi in questo oceano di Realtà aumentata.

Artura, la mitica gatta de La Cuccia Studio, Drone, il titolo ma anche lo strumento utilizzato perregistrare i video che accompagneranno diversi brani del disco, ed infine lo Space Echo, l’ effetto,attraverso il quale sono stati processati tutti gli strumenti del primo album. Questi sono i tre elementi che creano l’alchimia, sentiamo le fusa risuonare, osserviamo il mondo dall’alto con le bellissime immagini regalateci da questi tre ragazzi, ascoltiamo interessati l’evolversi di quest’album.

Un primo lavoro che ha dell’interessante. A tratti ci ricorda qualcosa di già sentito, saranno le sonorità un pò anni ’70, questo basso imperante un pò Pink Floyd, a tratti ci regala qualcosa di inaspettato, e capiamo che la band non si volta indietro, ma guarda al futuro. Se gli anni ’70 sono sicuramente un punto di partenza, qui c’è molto, molto altro, e sicuramente c’è una volontà di sperimentare aldilà del semplice album.


Sorvoliamo questo album, iniziamo da Estranei: Sonorità misteriose, suoni spaziali, aperti, onde sonore, un cielo inesplorato. Fusa: Un ambiente che ha del magico, un basso corposo, suoni digitali ammalianti. Un suono che nel complesso ci fa pensare a forme eleganti che si muovono nel buio della notte, come quelle di un gatto. Sarà per suggestione, sarà per la gatta de La Cuccia Studio, e poi troviamo la conferma nelle ipnotiche fusa che si diffondono durante la traccia. Mona, questa volta si respira qualcosa che ha dell’esotico, forse le percussioni sono le magiche responsabili di questa sensazione.

La Chitarra canta e voci metalliche suonano un motivo che è a dir poco psichedelico.

Tutto scompare e ci troviamo alle porte dell’ignoto con Ostica: qui ci troviamo catapultati in un film di Kubrick, viaggiamo dispersi in un vuoto cosmico che lentamente ci soffoca. Segnali radio ci attraversano da parte a parte, qualcosa si muove nell’oscurità, qualcosa viveva e respirava molto prima di noi, ma non ci è dato sapere. Artengo è un simpatico gioco di suoni analogici e digitali, qui siamo sulla terra, molto piu’ di quanto non ci fossimo già prima. Ci lasciamo ipnotizzare da suoni apparentemente banali, come quello di una pallina da ping pong che rimbalza ripetutamente e si trasforma in ritmo sonoro per nulla scontato. Zeno è la svolta: ora corriamo a bordo di una moto futuristica per le strade di una Tokyo cyberpunk.

Siamo immersi in un anime dal carattere decisamente orientale, qui le pagine le leggiamo al contrario e ci sentiamo sottosopra, qui a grande velocità corriamo.


Rojo, diventiamo riflessivi, i circuiti rallentano, gli occhi robotici ci fissano con inespressività, e noi restituiamo lo sguardo chiedendoci se c’è coscienza dall’altra parte, l’eterno dilemma, l’eterna ossessione della civiltà del ritorno al futuro. Gurken prosegue con un gioco di colori, ci manda su e giu’ come su un altalena. Suoni allegri, ci sentiamo quasi bambini, e giochiamo con il ritmo e con le nostre scarpette da doposcuola. Massive, lo dice il nome stesso, è un pezzo importante, massivo, e ci ipnotizza subito con l’alternanza dei suoni digitali e le melodie un pò lounge da film anni ’80. Chiudiamo in sospensione con Hostess, che ci lascia con un interrogativo importante: dove ci porterà tutto questo progresso? dove ci porterà la sperimentazione, dove siamo diretti, la società, le regole, i suoni, i rumori, i robot, le orchestre classiche, è finito tutto dentro un gigantesco frullatore, e ci ritroviamo shackerati, tanto che non sappiamo, non pensiamo, ma allo stesso tempo siamo e sappiamo.

Se il Post Rock, come abbiamo già raccontato in un nostro precedente articolo, è l’assenza di regole,  gli Artura seguono alla lettera la nostra descrizione.

Non li possiamo ingabbiare, non li possiamo ingrigliare, sono sfuggenti, svolazzanti, ma allo stesso tempo pulsa un cuore elettronico. Gli effetti digitali ci raccontano qualcosa di importante, lo sguardo al passato è importante se vogliamo dedicarci al futuro. Complimenti agli Artura, rimaniamo in attesa del vostro prossimo lavoro, un “In bocca al lupo” da tutti noi della redazione di Postrock.it

Matteo Dainese aka Il Cane: Drums, drum machine, percussioni, space echo, voce, basso,chitarre, piano.

Tommaso Casasola: Basso.

Cristiano Deison: Processing, sounds.

Paul – Postrock.it

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Echo Atom – Redemption: l’Italia si fa sentire

Echo Atom – Redemption

l’Italia si fa sentire 
È con immenso piacere che mi appresto ad ascoltare questo Album di esordio del trio Post Rock/Prog.
Echo Atom - Redemption
A Gennaio gli Echo Atom ci avevano già deliziato con il loro EP. Allora le canzoni erano solo tre, mentre ora ci troviamo di fronte ad un vero e proprio Album.



Potete leggere la precedente recensione sugli Echo Atom a questo link!

Se già allora il nostro voto era positivo, questo lavoro conferma quanto abbiamo già detto su di loro.


Il progetto Echo Atom prende luce nel luglio del 2016 da Walter Santu (chitarrista), Giuseppe Voltarella (bassista) e Alessandro Fazio (batterista). Nasce così questo trio molto affiatato e solido che nel tempo prende la direzione, per necessità e per scelta, di gruppo interamente strumentale.

La musica strumentale è una scelta delicata che non sempre riesce bene. Gli Echo Atom sono una piacevole sorpresa nel panorama italiano.


Un progetto ben strutturato, calibrato con maestria. Un progetto dove le chitarre si bilanciano perfettamente con i suoni di basso corposi e vellutati e che riempiono l’aria circostante e ci fanno respirare l’aria psichedelica e sognante che ha reso grande questo genere. La batteria non è borderline come in tante band. E uno strumento che segue, coinvolge, si rende talvolta protagonista, mentre in altri momenti riesce a rimanere sul bordo del palco mentre accompagna sommessamente gli altri strumenti.

Echo Atom - Redemption

Non stravolgono e non agitano, ma ci invitano a chiudere gli occhi e a sognare, a lasciarci cullare. Sono un sogno che si fa da bambini, quando l’ingenuità e la semplicità fanno da sfondo a colori tenui e leggeri.

Tutta l’attenzione si focalizza sugli strumenti, dove Il suono e l’emozione si esprimono anche senza una voce. Una piccola tribù che comunica e si racconta attraverso una chitarra, un basso e una batteria.


La cinque tracce contenute nell’Ep del trio romano esprimono una musica intimista ed introspettiva che tocca in maniera immediata la parte più emotiva dell’essere umano.

Le ultime due tracce sono quelle che ascoltiamo con più interesse: la prima delle due (Dreamcatcher) si rende interessante senza stravolgere le precedenti tracce. Mi piace, inutile dirlo, e la ascolto dall’inizio alla fine con piacere e rimanendo nel mio stato d’animo sognante che mi ha accompagnato dall’inizio. L’ultima traccia (Peaks) ci mostra un lato inaspettato, dove le chitarre si fanno più distorte e si respira un’aria di cambiamento e di rivoluzione. Forse gli Echo Atom ci vogliono preannunciare sonorità diverse in vista del prossimo album, e non può che farmi piacere questa conclusione, come le serie tv finiscono sempre con quella scena di suspense che ci lascia con l’amaro in bocca e ci fa dire “E adesso cosa succederà?”

I ragazzi si confermano come un astro nascente del panorama Post rock/Prog italiano e siamo fieri di loro. Ci auguriamo di vederli al più presto sui palchi che meritano.

Bravi! Ora però vogliamo dare loro un consiglio: portate la nostra bandiera all’estero!

Voto: 8

ECHO ATOM :

Walter Santu – chitarra

Giuseppe Voltarella – basso

Alessandro Fazio – batteria

Listen to Echo Atom “Redemption”

https://www.facebook.com/echoaatom

https://www.deezer.com/album/59252192

https://open.spotify.com/album/2JrJGHmK0T2URR9EXPbVbN

ECHO ATOM : “Redemption”

Data di uscita: 23 marzo 2017

Produzione artistica: Walter Santu

Distribuzione: Audioglobe



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Echo Atom: un trio postrock/prog che merita davvero.

Echo Atom

Un trio postrock/prog che merita davvero
Dopo queste vacanze natalizie appena trascorse, beh, è un piacere ripartire con gli Echo Atom.


Questi tre ragazzi (Walter Santu – chitarra, Giuseppe Voltarella – basso e Alessandro Fazio – batteria) si sono riuniti nel luglio del 2016 creando questo sound dalle chiare tendenze post rock/progressive. Musica puramente strumentale e che quindi parte con un punto a favore per mio gusto personale.

Su Soundcloud potete ascoltare solo tre brani, ma ne vale davvero la pena incominciare da questi, con la speranza di avere al più presto un Album tra le mani.

Redemption è il loro primo singolo, prima canzone che potete ascoltare sul sopracitato sito.

A primo impatto sono apparsi nella mia mente gli Explosions in the Sky. A tratti, ho visionato i Caspian, proprio perché la chitarra sembra essere lo strumento principale in questa prima canzone. Un viaggio attraverso vari scenari il cui scopo ultimo è chiaramente la redenzione. Le immagini subentrano nitide davanti agli occhi semplicemente ascoltando, il che significa che sono riusciti nel loro intento.

La seconda canzone Path, è caratterizzata da un bel giro di basso, che dona un valore aggiunto rispetto alla prima canzone. La chitarra non passa comunque mai in secondo piano, soprattutto nell’ultima parte della canzone che assume un sound più moderno che non mi dispiace per niente. Sono sempre pro sperimentazione, soprattutto quando si possono fare grandi cose con solo tre strumenti. Il brano non risulta mai vuoto, nonostante tutto, ed è una grande riuscita.

L’ultimo brano, che sto ascoltando proprio in questo momento, si intitola Awakening.

Chissà perché ogni volta che ascolto la “terza canzone”, in generale, di qualche album… trovo sempre che sia la più bella. Ed anche in questo caso è così, secondo mio gusto personale. L’inizio della canzone è post rock allo stato puro, si crea finalmente l’ambient che ho sempre ricercato in ogni singola canzone che ascolto. La chitarra non abbandona un giro armonico molto orecchiabile, unendo un urlo strumentale che appare quasi come un synth. Dopo il primo minuto, anche meno, la parte “prog” che influenza il trio ritorna in vita anche in quest’ultimo brano, unendo, amalgamando, fondendo completamente i due generi.

Che dire, Echo Atom, ottimo lavoro… e adesso aspettiamo il vostro disco!

Voto: 7 

Tracklist:

1. Redemption
2. Path
3. Awakening

Membri:

Walter Santu: Chitarra
Giuseppe Voltarella: Basso
Alessandro Fazio: Batteria

Contatti: 

https://soundcloud.com/user-241124265

https://www.facebook.com/echoatom/

J. – Postrock.it

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Postrock: istruzioni per l’uso

Postrock

Istruzioni per l’uso
Postrock.
Un mistero per molti. In Italia, ancora oggi una parola che genera confusione. Molti preferiscono non parlarne. Altri usano semplicemente altri nomi. Ma la realtà è che il Postrock è un genere ibrido, che si è formato insieme al significato stesso del nome, e che ancora oggi si plasma intorno ad una musica che alcuni semplicemente non riescono a descrivere.

Molti sono i generi da cui il post rock attinge le proprie radici. A partire dagli anni ’80, ci si trovò di fronte al problema di non riuscire semplicemente a dare una definizione a tutta quella serie di band sperimentali e psichedeliche che si andavano formando. Dopo la fusione tra elettronica, musica blues e tradizioni folkloristiche, nel mondo si è andata via via formando una lista infinita di generi musicali: dall’hard rock al heavy metal, dal punk al trash metal, dalla psichedelia alla musica elettronica.

Nonostante agli inizi degli anni ’80 ci fosse già un range molto ampio di generi musicali sotto il quale etichettare tutte le varie band di fama internazionale, improvvisamente ci si trovò di fronte a qualcosa che non si era mai sentito prima. Alcune band, infatti, cominciarono a mischiare tra loro i generi musicali a tal punto che era impossibile definire quale fosse la radice del suono. Fra i gruppi “fondatori” del genere (ovvero fra i primi gruppi ai quali l’espressione post-rock fu riferita in modo sistematico, fino a identificarla con il loro stile) ci sono i Slint e i Tortoise (fra gli album di quest’ultimo gruppo fu molto influente, in particolare, Millions Now Living Will Never Die), ma anche gruppi come i Talk Talk che sul finire degli anni ’80 rivoluzionarono la loro musica (in precedenza erano synth-pop). sono accreditati come tra i fondatori del post-rock.

Ed ecco che naque la parola magica: Postrock.

L’espressione fu coniata da Simon Reynolds in un articolo sul numero 123 della rivista musicale The Wire (maggio 1994) e si riferiva originariamente a gruppi come Stereolab, Disco Inferno, Seefeel, Bark Psychosis e Pram;

Molti sono tentati di snobbare questo nome in quanto apparentemente troppo generico. Eppure Postrock è un nome che nasconde un significato ben più grande, e non basta un primo sguardo per capirlo.

Insomma, eccoci arrivati alla fatidica domanda: che cos’è il post rock?

Il post rock è la musica Non conforme. non conforme ai canoni della società, della politica, delle etichette discografiche e delle emittenti radiofoniche e televisive. Il post rock è la musica non etichettabile.

Molto spesso il post rock viene associato alla musica strumentale, ma la verità è che la musica sperimentale è aperta a 360° e non si limita a niente.

La musica non conforme è quella musica che sperimenta sonorità in modo insolito, che riesce ad accostare elementi e suggestioni completamente differenti e non usuali nella musica attuale, formando quello che possiamo definire un Ibrido.

Che cos’è un ibrido?

In senso colloquiale, senza alcuna connotazione scientifica, per ibrido si intende un organismo, reale o di fantasia, spesso con caratteristiche mostruose, che coniuga le caratteristiche di due esseri anche completamente differenti, e per estensione si proietta metaforicamente per similitudini, il concetto anche al di fuori dei viventi come ad esempio in veicolo ibrido, in letteratura riferito a parole composte in modo eterogeneo, eccetera.

In senso scientifico, un Ibrido è un individuo generato dall’incrocio di due organismi che differiscono per più caratteri, che nell’ambito delle scienze biologiche ha differenti significati.

Ed ecco che la musica post rock diventa finalmente il tassello mancante del mosaico, quel mosaico della musica che, dopo un estremo processo di cristallizzazione, aveva intrapreso un processo di cristallizzazione destinato a entrare in conflitto con la realtà attuale.

La verità è che catalogare la musica non è più semplice come lo poteva essere cinquanta o sessant’anni fa. Il progresso culturale, economico e soprattutto tecnologico ha creato non pochi problemi nella nomenclatura musicale.

Improvvisamente le persone si trovano di fronte al problema di non saper più distinguere realmente un genere dall’altro: chi suona cosa? Il dj è un musicista? Le basi sono da considerarsi una musica live? Cosa fa di una persona un musicista?

Il post rock è questo. È un genere che non teme confronti, che non ha bisogno di definizioni rigide, ma che si plasma seguendo la morbidezza con cui si forma e si adatta la società moderna. È un genere disposto ad accogliere tutto, ma che facilmente si definisce seguendo questa pista che si è andata formando con esso: una musica fuori dagli schemi, una musica traportante, avvincente, indefinibile. Una musica ribelle se vogliamo, che non accetta di sottostare sotto un unico genere.

Il post rock è una musica quantica, dove un valore non è più assoluto, dove posizione ed energia sono un tutt’uno e non è più possibile stabilire entrambe nello stesso momento.

Alcuni di voi sicuramente ricorderranno il celebre paradosso del gatto di Schrödinger, con cui il fisico austriaco descrisse come la meccanica quantistica diventasse assurda se applicata ad un sistema macroscopico. Il gatto è vivo o è morto?

La risposta è che il gatto è sia vivo che morto.

Allo stesso modo, vi invito ad ascoltare band come Alcest, God is an astronaut, Sigur Ros e a rispondere: che genere è?



Alcuni si aggrapperanno ad alcune sonorità piuttosto che ad altre, e finiranno con una generalizzazione estremamente limitativa e incapace di contenere un contenuto musicale così ampio. I generi sono ormai contenitori troppo piccoli e non possono più contenere la grandezza di certe sonorità.

Il post rock è un genere in grado di adattarsi al proprio contenuto, a plasmarmi su di esso, e di crescere ed evolversi con esso. È un genere che non teme l’evoluzione umana o il progresso tecnologico, perchè parte dal presupposto che tutto è in evoluzione ed è destinato ad unirsi. Le popolazioni sono destinate ad unire le proprie culture, a dare vita a movimenti di pensiero nuovi, e tutto questo è un richiamo a liberare finalmente la musica dalle briglie in cui ci ostiniamo a intrappolarla ormai da troppi anni.

Il post rock è la musica. Senza limiti.

Benvenuto nel portale dedicato alla musica Postrock. Cosa aspetti? immergiti nelle nostre recensioni.

Paul – Postrock.it

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“The Fearmonger” dei Northern Lines: oltre ogni barriera musicale.

The Fearmonger

Northern Lines
“The Fearmonger” è stata una sorpresa. E leggendo, capirete il perchè.


Il suono dei Northern Lines, spezza volutamente il vecchio sentiero hard rock. E questo, si percepisce già dai primi minuti di Mast Cell Disorder. Fin qui non ci piove.

Il trio, composto da Cristiano Schirò alla batteria, Alberto Lo Bascio alla chitarra e Stefano Silvestri al basso, ha dato alla luce un album fuori dagli schemi per il genere trattato, influenzato sì dal sound anni ’70… ma dovete ascoltarlo tutto, per capire. Già, perché la vostra idea di base cambierà sicuramente durante l’ascolto, proprio come è capitato a me.

Ma proseguiamo un pezzo alla volta. Partiamo dal presupposto che è si tratta di musica strumentale e non facilmente etichettabile in un solo genere: ecco spiegato il perché è recensito su questa pagina, pur non essendo il “classico” post rock a cui siamo abituati.

Le chitarre partono volutamente ripetitive, come possiamo sentire in Shockwave. Si sente, di fatti, l’influenza che gli ascolti dei romani hanno avuto sul loro prodotto: Led Zeppelin, Pink Floyd, Deep Purple, ma anche The Aristocrats e Rush. Fortunatamente però, hanno saputo spezzare il già sentito sound dei classici, proponendo il loro meglio con tempi dispari, l’aggiunta di un melodioso pianoforte che possiamo sentire già dal primo brano, synth, hammond e atmosfere palpabili durante tutto l’ascolto.

Ma cos’è che mi ha spiazzata di “The Fearmonger”? E’ un buon album strumentale che non annoia, certo… ma proprio quando stavo per etichettare l’album sotto un genere, di fatti, ne è apparso un altro. E poi un altro ancora. E ancora uno.

Con Nightwalk, tutto ciò che avete sentito prima scompare, dando vita ad un suono estremamente più fantasioso, a tratti funky, a tratti blues. Intrecci fusion, jazz, la parte hard rock sembra essersi assopita. Un tocco sperimentale e chiaramente ludico si percepisce in Machine Man, già dalle prime note: tango? Proprio così. Tutto si può unire, tutto si può aggiungere, tutto si può tentare.

Basta semplicemente osare e questi ragazzi lo hanno fatto.

A seguire, l’album continua una serie di sperimentazioni che si allontanano sempre di più dal primo titolo della lista. Un tocco di prog dal facile ascolto con Meteor, per poi proseguire con brani dal tocco più malinconico, come Apathy Field, in assoluto il mio preferito. E il gran finale sulla scia del precedente, con Most People Are Dead.

Perché lo consiglio? Perché “The Fearmonger” parte con un genere e termina con un altro, passando tra infiniti altri, dalle mille sfaccettature e non sempre facilmente etichettabili. Lo consiglio perché è un lavoro intenso e strumentale, dove il tema della morte viene affrontato perfettamente in ogni sua fase: la paura iniziale, l’instabilità, l’arrendevolezza. Tutti sentimenti che ho personalmente provato durante l’ascolto e che, probabilmente, sono soggettivi. Ma tutto ciò mi spinge a consigliarlo, perché se un album trasmette qualcosa, allora merita di essere condiviso.

Voto: 7.5

Tracklist:

1.Mast Cell Disorder
2.Session 1
3.Shock Wave
4.Nightwalk
5.Session 2
6.Machine Man
7.Meteor
8.Jukurrpa
9.Toward The End
10.Apathy Field
11.Moste People Are Dead

Label: Autoproduzione
Genere: Progressive Metal
Anno: 2017

Membri:

Alberto Lo Bascio: Chitarra
Stefano Silvestri: Basso e Synth
Cristiano Schirò: basso

Contatti:

https://www.facebook.com/NorthernLinesTrio/
https://www.youtube.com/channel/UC9ydVIo03M36df8Z_8GTKMg

J. Postrock.it


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Still the Echo dei Red Light Skyscraper: un album da non perdere

Still the Echo

Red Light Skyscraper
Still the Echo dei Red Light Skyscraper: un album da non perdere


I Red Light Skyscraper da Siena mi hanno lasciata davvero impressionata.

Nonostante un orecchio attento riesca a sentire la loro scelta di registrare in presa diretta (al Virus Recording Studio), beh, la cosa non mi è dispiaciuta affatto. Anzi, l’essenza del loro sound è stata perfettamente catturata proprio grazie a questa scelta. Sicuramente il tocco di Frank Akrwright (Joy Division, The Smiths, Arcade Fire, Mogwai) degli Abbey Road Studios di Londra ha dato un’enorme mano nel rendere ancora più atmosferico questo disco.


Il tema principale che Still the Echo dovrebbe trasmettere, e a mio parere ci riesce molto bene, è il viaggio interiore di ogni singolo individuo. Vuole togliere ogni filtro, ogni freno inibitore e lasciare che l’ascoltare venga travolto dalle sensazioni.

Ed è quello che sta accadendo a me durante ogni singola traccia, a partire da Don London. Le chitarre sono molto crude, a tratti dure, ma la natura strumentale dei brani è anche questa.

Un’esplosione di suoni che alterna le atmosfere più scure a quelle più armoniche, come nel caso di Yugen, la mia preferita. Lascia quella vena malinconica fin dalla prima nota, per poi esplodere quasi dopo un minuto in un’insieme di suoni, che smuove in me un vero e proprio Caos interiore, fino al termine sospeso del brano stesso, che ti lascia senza fiato.

L’inserimento della voce in Necessary and Sufficient Condition ha in parte spezzato l’atmosfera creata con Yugen, ma anche questo sembra studiato e voluto, per poi tornare a sognare con l’intro di Sleep on it.

Un album davvero consigliato, soprattutto perché il messaggio che i Red Light Skyscranner volevano trasmettere con quest’album, è stato pienamente ricevuto.




Voto: 7

Autore: Red Light Skyscraper
Anno: 2017
Genere Musicale: Post Rock, strumentale
Label: /
Titolo album: Still of Echo
Sito web: www.redlightskyscraper.com
Facebook: https://www.facebook.com/RedLightSkyscraper/
Instagram: https://www.instagram.com/redlightskyscraper_band/
Twitter: https://twitter.com/rls_band

Tracklist: 

  1. Don London
  2. Luke
  3. Yugen
  4. I Think of Her Like a Home
  5. Necessary and sufficient Condition
  6. Sleep on It
  7. Wander

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Il nuovo Album di Misto: Helios

Helios

Il nuovo Album di Misto
Helios è un album oltre ogni aspettativa.


E’ difficile credere che sia stato partorito da una one man band, Mirko Viscuso alias Misto. Polistrumentista genovese classe 1985 che non ci delude, in questo secondo capitolo. Dopo svariate esperienze nel panorama genovese (The Pottos e McNamara Playground Heroes), Misto abbandona le logiche ed i ritmi tipici della band, lanciandosi in questo panorama sperimentale che sta dando in maniera decisiva i suoi frutti.

L’ ’EP di esordio “Infinite Mirrors” è stato interamente autoprodotto e rilasciato a Febbraio del 2016.

E ora Helios: un sound più maturo, più accurato, influenzato da svariati generi affini: stoner, sludge metal, shoegaze, elettronica, ambient.

La parte elettronica è estremamente curata, la scelta dei suoni non delude e si fonde perfettamente con le armonie della chitarra. La parte sperimentale è palese in ogni brano, a partire dall’unione di synth che ricreano un ambient quasi orchestrale (come in Daffodils Crashing Into The Water) all’esplosione delle chitarre distorte. Helios è il brano che realmente merita di dare il titolo all’album, personalmente il mio preferito insieme a Buried Under Remote Lands. L’intreccio e la scelta degli arrangiamenti lasciano trapelare una buona conoscenza dell’armonia e delle basi di composizione. Cori, synth, tutto esplode con Helios dal minuto 2:30, per poi cambiare come una vera e propria rapsodia a partire dal minuto 4:30.

Melodie in grado di portarti in un vero e proprio viaggio attraverso i sensi, la mente divaga, rimane coinvolta fino all’ultimo pezzo, “Time To Destroy My Life Capsule”, che già dall’inizio fa intuire un po’ quella vena malinconia di quando qualcosa sta per giungere alla fine.

E questo sentimento si protrae fino alla fine del brano.

J. – Postrock.it 

Voto: 8




Autore: Misto
Anno: 2017
Genere Musicale: Post Rock
Label: /
Titolo album: Helios
Ufficio Stampa: Tri Tuba Press (https://www.facebook.com/Tritubba/)
Sito web: https://www.facebook.com/mistoband/

Tracklist: 

  1. Buried Under Remote Lands
  2. 2. Polemic Guy Wants To Fight
  3. Daffodils Crashing Into The Water
  4. Set Your Firearms Against The Sun
  5. Helios
  6. Time To Destroy My Life Capsule

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