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I Windbreak portano il loro sperimentale Post Rock dal Portogallo, con “Define Us”!

Windbreak

Define Us
I Windbreak portano il loro sperimentale Post Rock dal Portogallo, con “Define Us”!


I Windbreak sono una band portoghese che abbracci diversi generi, proprio come è di mio gradimento. Si definiscono post rock/post Metal, ma mi azzardo ad aggiungere che la loro musica esclusivamente strumentale ha diverse influenze anche progressive, come è di mio gradimento.

L’album che sto ascoltando in questo momento, il loro primo e unico attualmente, si intitola “Define Us”. Il modo migliore per recensire un album, a mio parere, è farlo proprio mentre lo si ascolta. Perché ti lasci cullare dal suono nella sua essenza, fin dalla prima nota, senza lasciarsi influenzare da pensieri o paragoni. Semplicemente musica.

Si intuisce fin dalla prima traccia, Native Soil, che non è una semplice canzone scritta e pubblicata, ma è il punto di partenza di una storia. E man mano che continuo ad ascoltare, mi accorgo di quanto la loro musica sia un viaggio tra mille luoghi, forse concreti, forse personalizzabili per ogni ascoltatore. “Hidden Cross”, la continuazione, più ambiente, più melodiosa, i synth sembrano la carezza delle onde del mare, tra venti e rumori di sottofondi affatto casuali. La chitarra parte morbida, pulita, in quello che sarà la continuazione di questo viaggio, fino a raggiungere “Magnolia”, terza traccia dalla partenza più ritmata, dalle note taglienti e dall’atmosfera combattiva. Ecco che la parte post rock inizia lentamente a lasciare spazio a qualcosa di più progressivo. Si intuisce da questo incipit, fin quando la canzone non raggiunge un finale più aggressivo, che continuerà di fatti con “Klameth”, dove la chitarra distorta dona il suo primo avviso di quanto possa essere aggressiva la musica nella sua progressione. E di fatti questo brano evidenzia la loro influenza Post Metal più di ogni altro, probabilmente, di tutto l’album. Si distaccano dagli altri generi sopra citati, in questi ultimi due minuti di canzone, sia per l’assolo di chitarra, sia per la cavalcata finale che, chi ama la sperimentazione comunque, non dovrebbe disprezzare. “From The Ashes” ha una partenza aggressiva, con l’inserimento di una voce e di una linea vocale. Un urlo che lascia comunque trasparire, seppur celata, una linea melodica facilmente tracciabile.





Personalmente preferisco la musica strumentale, ma le sperimentazioni sono sempre ben accette, soprattutto da band che amano osare, come i Windbreak. Ritorniamo però intorno al quarto minuto di ascolto nel paradiso dell’influenza post rock che fortunatamente non ci ha abbandonato del tutto, con le chitarre più lente, melodiche, cadenzate ma mai noiose, così come la batteria, fino all’esaurimento dell’energia iniziale, con un finale lento e riassestante, che ho apprezzato davvero molto. Arriviamo così all’ultima traccia “Stargazing”, l’apertura con un arpeggio accompagnato da un giro di basso che ha questa volta maggiore valore rispetto al resto dell’album, è un punto a favore, così come la scelta di aggiungere il suono di un sax, tornando così sulla scena prog.

https://www.youtube.com/watch?v=cpGts0sXB6c


Tutto sommato è un genere che mi piace, vedo nei Windbreak del potenziale e attendo con ansia altri loro lavori.

Voto: 7 e mezzo

Tracklist:

  1. Native Soil
  2. Hidden Cross
  3. Magnolia
  4. Klameth
  5. From the Ashes
  6. Stargazing

Membri:

Sérgio Pinho – Chitarra, voce
Hugo Amorim – Batteria
Eduardo Pinho – Basso
João Almeida – Chitarra

Label:

https://www.facebook.com/OutroRecordsLabel/

Contatti:

Bandcamp: https://windbreak.bandcamp.com/releases
Spotify: https://open.spotify.com/album/0feTOnKvfndh3FlHZfXETO
Instagram: https://www.instagram.com/windbreakband/
Twitter: https://twitter.com/windbreakband
Facebook: https://www.facebook.com/windbreakofficial/

J. Postrock.it


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“The Fearmonger” dei Northern Lines: oltre ogni barriera musicale.

The Fearmonger

Northern Lines
“The Fearmonger” è stata una sorpresa. E leggendo, capirete il perchè.


Il suono dei Northern Lines, spezza volutamente il vecchio sentiero hard rock. E questo, si percepisce già dai primi minuti di Mast Cell Disorder. Fin qui non ci piove.

Il trio, composto da Cristiano Schirò alla batteria, Alberto Lo Bascio alla chitarra e Stefano Silvestri al basso, ha dato alla luce un album fuori dagli schemi per il genere trattato, influenzato sì dal sound anni ’70… ma dovete ascoltarlo tutto, per capire. Già, perché la vostra idea di base cambierà sicuramente durante l’ascolto, proprio come è capitato a me.

Ma proseguiamo un pezzo alla volta. Partiamo dal presupposto che è si tratta di musica strumentale e non facilmente etichettabile in un solo genere: ecco spiegato il perché è recensito su questa pagina, pur non essendo il “classico” post rock a cui siamo abituati.

Le chitarre partono volutamente ripetitive, come possiamo sentire in Shockwave. Si sente, di fatti, l’influenza che gli ascolti dei romani hanno avuto sul loro prodotto: Led Zeppelin, Pink Floyd, Deep Purple, ma anche The Aristocrats e Rush. Fortunatamente però, hanno saputo spezzare il già sentito sound dei classici, proponendo il loro meglio con tempi dispari, l’aggiunta di un melodioso pianoforte che possiamo sentire già dal primo brano, synth, hammond e atmosfere palpabili durante tutto l’ascolto.

Ma cos’è che mi ha spiazzata di “The Fearmonger”? E’ un buon album strumentale che non annoia, certo… ma proprio quando stavo per etichettare l’album sotto un genere, di fatti, ne è apparso un altro. E poi un altro ancora. E ancora uno.

Con Nightwalk, tutto ciò che avete sentito prima scompare, dando vita ad un suono estremamente più fantasioso, a tratti funky, a tratti blues. Intrecci fusion, jazz, la parte hard rock sembra essersi assopita. Un tocco sperimentale e chiaramente ludico si percepisce in Machine Man, già dalle prime note: tango? Proprio così. Tutto si può unire, tutto si può aggiungere, tutto si può tentare.

Basta semplicemente osare e questi ragazzi lo hanno fatto.

A seguire, l’album continua una serie di sperimentazioni che si allontanano sempre di più dal primo titolo della lista. Un tocco di prog dal facile ascolto con Meteor, per poi proseguire con brani dal tocco più malinconico, come Apathy Field, in assoluto il mio preferito. E il gran finale sulla scia del precedente, con Most People Are Dead.

Perché lo consiglio? Perché “The Fearmonger” parte con un genere e termina con un altro, passando tra infiniti altri, dalle mille sfaccettature e non sempre facilmente etichettabili. Lo consiglio perché è un lavoro intenso e strumentale, dove il tema della morte viene affrontato perfettamente in ogni sua fase: la paura iniziale, l’instabilità, l’arrendevolezza. Tutti sentimenti che ho personalmente provato durante l’ascolto e che, probabilmente, sono soggettivi. Ma tutto ciò mi spinge a consigliarlo, perché se un album trasmette qualcosa, allora merita di essere condiviso.

Voto: 7.5

Tracklist:

1.Mast Cell Disorder
2.Session 1
3.Shock Wave
4.Nightwalk
5.Session 2
6.Machine Man
7.Meteor
8.Jukurrpa
9.Toward The End
10.Apathy Field
11.Moste People Are Dead

Label: Autoproduzione
Genere: Progressive Metal
Anno: 2017

Membri:

Alberto Lo Bascio: Chitarra
Stefano Silvestri: Basso e Synth
Cristiano Schirò: basso

Contatti:

https://www.facebook.com/NorthernLinesTrio/
https://www.youtube.com/channel/UC9ydVIo03M36df8Z_8GTKMg

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