loader image
Categorie
Post Rock Recensioni

The Journey of Eric Taylor: Reroute

REROUTE

The Journey of Eric Taylor
La forma artistica di Reroute è molto intensa, un grido anarchico che rompe gli schemi della tradizione, immergendoci in un mondo a tratti onirico, a tratti pittorico.
The Journey of Eric Taylor.

I toni cupi si sentono già dalla prima traccia, “Prolog”. Un prologo ci introduce in un mondo lento e cadenzato per poi assumere una forma impulsiva, di piena forza che si scioglie solo nell’intro del primo vero brano, “In Distance”.

Ritorna il ritmo volutamente ripetitivo e che si fonde con una melodia dall’atmosfera avanguardistica.

La sensazione di qualcosa che sta per esplodere ci avvolge costantemente ma non arriva prima del minuto 2:41, dove ci invade completamente con una cavalcata graduale fino alle armonizzazioni delle chitarre che scompaiono di colpo in un finale nuovamente tetro, dalle luminescenze oscure, espressioniste.

Luci e ombre si alternano nuovamente in “Hysteria”, arpeggi che lasciano presagire, anche qui, un qualcosa di ultra terreno.

L’attesa ritorna straziante, ricrea un habitat volutamente pittoresco, una città onirica in cui è facile perdersi. Le melodie si intrecciano, non si percepisce la realtà dalla finzione, il sogno dal reale. Un cenno di realtà lo abbiamo dal minuto 2:32, dove ci si sveglia dall’incubo, si cercano spiegazioni che culminano in una vera e propria isteria di suoni che ci accompagnerà fino al finale. Un finale che ci dice “voglio svegliarmi”.

Il mondo onirico ci cattura nuovamente in “Memo”, un suono nuovamente ripetitivo, la lancetta di un orologio, una campana che tenta di svegliarci, un metronomo, un pendolo che ci ipnotizza.

E quello dell’ipnosi non è un mondo onirico, ma ci assomiglia. Un mondo interiore, iniziamo a graffiare cercando l’uscita, dal minuto 4:02 iniziamo ad urlare, vogliamo andarcene anche da qui.

“912” ci convince per qualche secondo che forse, abbiamo trovato l’uscita. E allora iniziamo a correre. Corriamo, saliamo delle lunghissime scale. Continuiamo a correre come la donna che sale le scale, nella celebre opera di Legèr. Allora aumentiamo il passo, ma non vediamo mai l’arrivo, le scale non finiscono. E allora al minuto 3:45 ci arrendiamo, passiamo dalla corsa al cammino, per poi riprovarci più avanti. Ma l’arrivo non si vede.

“Decay of Dream” ci accoglie con degli archi malinconici, l’arpeggio suggessivo ci riporta nella tetra ambientazione di un film dal tratto pittorico, dal sapore nuovamente espressionista. Toni cupi, tetri, ombre che si fondono con fioche luci. Un brano di ben 11:14 che lascia trasparire la pesantezza del tema ma non dell’ascolto. Martellante il finale che manifesta e sottolinea la presenza di un’arte nuova, urlando la sua esistenza in un mondo dissacrante.

Più triste che malinconico è l’inizio di “Shutter”, come una presa di coscienza. L’intera traccia è un evolversi in maniera equilibrata, si aggiunge sempre un pezzettino nuovo che completa l’opera. Perde un po’ il suo ambiente pittorico, ma esce dal coro con intelligenza, dando una ventata di cambiamento però mai fuori luogo, mantenendo una linea anti convenzionale, anti naturalistica.

“Awakening” ci sussurra che siamo alla fine di questo viaggio e ci riporta con i piedi per terra.

La forma artistica di Reroute è molto intensa, un grido anarchico che rompe gli schemi della tradizione, immergendoci in un mondo a tratti onirico, a tratti pittorico. Consigliato.

VOTO: 9

CONTATTI:

Facebook:

https://www.facebook.com/TheJourneyOfEricTaylor/

Instagram:

https://www.instagram.com/thejourneyoferictaylor/

Website:

http://www.the-journey-of-eric-taylor.com/

Bandcamp:

https://thejourneyoferictaylor.bandcamp.com/

Youtube:

https://www.youtube.com/channel/UC6PblpeaRz3X8U_fIv-rCFA

Empfohlenes Video:

 

Soundcloud:

https://soundcloud.com/user-582263497

Twitter:

https://twitter.com/tjoet_band

 

J. – Postrock.it

Categorie
Post Rock Recensioni

Artura: Drone – Il mondo visto dall’alto

Artura: Drone

Il mondo visto dall’alto
Avete mai immaginato di volare?

No, dico sul serio. Pensate di trovarvi di fronte ad una scogliera, in una notte gelida d’inverno. Immaginate le onde gigantesche di fronte a voi, la brezza marina che sferza il vostro viso, i capelli al vento. Immaginate di aprire le braccia, di chiudere gli occhi…e ora, lanciatevi.

Ecco quello che suscita fin da subitto l’ascolto di questo album profondo e intenso degli Artura. Un album che mischia suoni artificiali e analogici con grande abilità, e ci proietta in un mondo in cui la tecnologia diventa parte di noi.

Artura, è la nuova creatura musicale creata da Matteo Dainese aka Il Cane, in collaborazione con Tommaso Casasola e Cristiano Deison.

In quest’epoca in cui la tecnologia si fonde con la realtà, e il nostro punto di vista diventa inevitabilmente quello delle macchine che noi stesso abbiamo creato, ci sentiamo di fonderci ulteriormente nell’ascolto di Drone, e grazie alla fusione di immagini e sensazioni, sorvoliamo le onde sonore immersi in questo oceano di Realtà aumentata.

Artura, la mitica gatta de La Cuccia Studio, Drone, il titolo ma anche lo strumento utilizzato perregistrare i video che accompagneranno diversi brani del disco, ed infine lo Space Echo, l’ effetto,attraverso il quale sono stati processati tutti gli strumenti del primo album. Questi sono i tre elementi che creano l’alchimia, sentiamo le fusa risuonare, osserviamo il mondo dall’alto con le bellissime immagini regalateci da questi tre ragazzi, ascoltiamo interessati l’evolversi di quest’album.

Un primo lavoro che ha dell’interessante. A tratti ci ricorda qualcosa di già sentito, saranno le sonorità un pò anni ’70, questo basso imperante un pò Pink Floyd, a tratti ci regala qualcosa di inaspettato, e capiamo che la band non si volta indietro, ma guarda al futuro. Se gli anni ’70 sono sicuramente un punto di partenza, qui c’è molto, molto altro, e sicuramente c’è una volontà di sperimentare aldilà del semplice album.


Sorvoliamo questo album, iniziamo da Estranei: Sonorità misteriose, suoni spaziali, aperti, onde sonore, un cielo inesplorato. Fusa: Un ambiente che ha del magico, un basso corposo, suoni digitali ammalianti. Un suono che nel complesso ci fa pensare a forme eleganti che si muovono nel buio della notte, come quelle di un gatto. Sarà per suggestione, sarà per la gatta de La Cuccia Studio, e poi troviamo la conferma nelle ipnotiche fusa che si diffondono durante la traccia. Mona, questa volta si respira qualcosa che ha dell’esotico, forse le percussioni sono le magiche responsabili di questa sensazione.

La Chitarra canta e voci metalliche suonano un motivo che è a dir poco psichedelico.

Tutto scompare e ci troviamo alle porte dell’ignoto con Ostica: qui ci troviamo catapultati in un film di Kubrick, viaggiamo dispersi in un vuoto cosmico che lentamente ci soffoca. Segnali radio ci attraversano da parte a parte, qualcosa si muove nell’oscurità, qualcosa viveva e respirava molto prima di noi, ma non ci è dato sapere. Artengo è un simpatico gioco di suoni analogici e digitali, qui siamo sulla terra, molto piu’ di quanto non ci fossimo già prima. Ci lasciamo ipnotizzare da suoni apparentemente banali, come quello di una pallina da ping pong che rimbalza ripetutamente e si trasforma in ritmo sonoro per nulla scontato. Zeno è la svolta: ora corriamo a bordo di una moto futuristica per le strade di una Tokyo cyberpunk.

Siamo immersi in un anime dal carattere decisamente orientale, qui le pagine le leggiamo al contrario e ci sentiamo sottosopra, qui a grande velocità corriamo.


Rojo, diventiamo riflessivi, i circuiti rallentano, gli occhi robotici ci fissano con inespressività, e noi restituiamo lo sguardo chiedendoci se c’è coscienza dall’altra parte, l’eterno dilemma, l’eterna ossessione della civiltà del ritorno al futuro. Gurken prosegue con un gioco di colori, ci manda su e giu’ come su un altalena. Suoni allegri, ci sentiamo quasi bambini, e giochiamo con il ritmo e con le nostre scarpette da doposcuola. Massive, lo dice il nome stesso, è un pezzo importante, massivo, e ci ipnotizza subito con l’alternanza dei suoni digitali e le melodie un pò lounge da film anni ’80. Chiudiamo in sospensione con Hostess, che ci lascia con un interrogativo importante: dove ci porterà tutto questo progresso? dove ci porterà la sperimentazione, dove siamo diretti, la società, le regole, i suoni, i rumori, i robot, le orchestre classiche, è finito tutto dentro un gigantesco frullatore, e ci ritroviamo shackerati, tanto che non sappiamo, non pensiamo, ma allo stesso tempo siamo e sappiamo.

Se il Post Rock, come abbiamo già raccontato in un nostro precedente articolo, è l’assenza di regole,  gli Artura seguono alla lettera la nostra descrizione.

Non li possiamo ingabbiare, non li possiamo ingrigliare, sono sfuggenti, svolazzanti, ma allo stesso tempo pulsa un cuore elettronico. Gli effetti digitali ci raccontano qualcosa di importante, lo sguardo al passato è importante se vogliamo dedicarci al futuro. Complimenti agli Artura, rimaniamo in attesa del vostro prossimo lavoro, un “In bocca al lupo” da tutti noi della redazione di Postrock.it

Matteo Dainese aka Il Cane: Drums, drum machine, percussioni, space echo, voce, basso,chitarre, piano.

Tommaso Casasola: Basso.

Cristiano Deison: Processing, sounds.

Paul – Postrock.it

Categorie
News

AUGURE – Apnea

AUGURE – APNEA
Avete mai immaginato di volare? 
Augure – trio post-rock/shoegaze di Caserta (CE), formato da Simona Uccella (Basso), Marco Pagliaro (Batteria) e Domenico D’Alisa (chitarra).
L’album inzia con una melodia intensa, trasportante, che ci conduce attraverso i cancelli della mente, e oltre. Un suono Synth si alterna con suoni analogici, strumenti e vibrazioni si fondono e creano una pasta sonora degna dei God Is An Astronaut. Non ci sono esplosioni, nessun colpo di scena, questi suoni sembrano fatti per farti chiudere gli occhi e sognare.
 
E’ così che da Inhale passiamo a Ruunt. Il nostro viaggio è ormai iniziato, abbiamo lasciato gli ormeggi e stiamo navigando nel mare sonoro e caldo degli Augure. Un cielo scuro e nuvoloso ci accompagna lungo il nostro viaggio, colpi di tamburo risuonano in questa seconda traccia, un suono scarno, senza troppi effetti, mi ricorda il suono dei remi nell’acqua torbida di questo mare sonoro.


Il basso si staglia imponente lungo l’orizzonte, e con il suo ritmo pressante da spazio ad una chitarra dolce, una melodia che piange e risuona negli abissi di questo mare.

Jakob, Mogwai, Mamiffer, Slowdive, Isis, Bark Psychosis arrivano chiari fin da subito alla nostra mente. Le onde si alzano durante “The Hunt”, e la nostra meta è ancora lontana, e ad occhi chiusi continuiamo a remare, facendoci strada tra senso e melodia. Tutto torna, tutto ha una spiegazione per gli Augure, riverbero e delay fanno da padroni in questo scenario che mi lascia una sensazione omerica, una voglia di viaggiare senza fermarmi.

I suoni di chitarra si intrecciano, si moltiplicano, si uniscono, Sembrano quasi voci di sirene che ci chiamano da lontano, da un posto ignoto che solo i componenti della band conoscono. Un tuono rieccheggia con l’inizio di “La Chute”, un’onda ci colpisce e ci ritroviamo sott’acqua. I suoni rimangono caldi, profondi, e tutto viene permeato da un suono imperante…qualcuno urla in lontananza, una richiesta di aiuto forse, voci sperse nel vuoto della mente.


Überlauf ci riporta in superficie, afferriamo i remi, torniamo a pensare alla nostra meta, riprendiamo il viaggio.

Qua il ritmo incalzante della batteria fa da padrone, e ci spinge a remare con forza, per riprendere in mano il nostro destino. La chitarra non molla, tiene il ritmo, è distorta ora, accompagna suoni riverbersosi e tanto delay, effetti usati con sapienza e maestria. Per chi Apprezza il genere, gli Augure sono sicuramente una band valida, da ascoltare.

Bisogna aprire le porte a questi ragazzzi, dargli lo spazio che si meritano, e lasciare che siano loro a raccontare il loro album attraverso i momenti che si accompagnano. Questa è una di quelle band in cui forse la suddivisione delle tracce è superflua, perchè la realtà è che album come questi andrebbero ascoltati dall’inizio alla fine, senza play e senza stop.
Un turbinio sonoro che evoca immagini e suoni come conigli dal cilindro.
“A cloud of Gray”, una nuvola grigia sorvola il cielo, grande, enorme, e noi non possiamo fare altro che stare a guardarla, dalla nostra piccola barca, e ci sentiamo piccoli di fronte a questo spettacolo. La chitarra ci accompagna flebile, così come la batteria che stavolta sceglie di accompagnare il pezzo in modo sommesso. Il basso si muove con suoni lenti e caldi, segue la nuvola.


Poi il cambio improvviso: Dalla nuvola cade un fulmine, proprio davanti a noi. La pioggia cade forte ora tutto intorno a noi, le onde ci fanno oscillare sulla nostra barchetta, e sentiamo tutto il potere della natura di fronte a noi. Il pezzo si ferma, la nuvola è passata, la vediamo ancora chiara li, ma ora sta andando oltre, non ci riguarda piu’, e noi con fare Dantesco ci sentiamo di non doverci soffermare, abbiamo un compito che ci attende, e la band ci invita a proseguire come buon Virgilio.

Siamo approdati su una terra spoglia, fredda, siamo all’ingresso di una caverna, ci guardiamo intorno senza trovare punti di riferimento.
“Exhale”, ultima traccia. La band continua ad accompagnarci in questo viaggio, ci vuole mostrare qualcosa, e noi ci lasciamo accompagnare fiduciosi. La batteria risuona martellante, eppure rimane in secondo piano, lasciando spazio ad una chitarra che stavolta suona una litania, un lamento che ci pervade. Questi lamenti provengono forse dalla caverna di fronte a noi? Qualcuno laggiu’ piange, soffre, e noi rimaniamo in ascolto. Il basso ci lascia intravedere una luce nel fondo, colori caldi, fuoco forse, delle torce accese. C’è vita laggiu’, c’è qualcosa. Gli Augure ci mostrano l’entrata, e noi con un cenno decidiamo di accettare l’invito, e con un passo ci addentriamo nell’oscurità fredda.
 
Qui termina il lavoro di questa band, che ha saputo creare un lavoro interessante, un album che ci lascia con la sensazione di dover continuare, un capitolo di un libro che chiede per forza un altro capitolo. E noi li lasciamo con la speranza di rivederli presto sulla scena, per raccontarci l’evoluzione di questo lavoro, con il prosequio di una storia che si promette epica.
 
Paolo M. – Postrock.it
 
a
Categorie
News Recensioni

Ropsten – Eerie: alienazione e degenerazione di un mondo tra uomo e macchina

ROPSTEN – EERIE

“Eerie” è uno stato d’animo 
“Eerie” è uno stato d’animo, il racconto in musica della degenerazione tecnologica, un disco dai suoni alienanti che mescola kraut rock, elettronica e space rock con derive psichedeliche.”
Ropsten Eerie cover album

I Ropsen sono una band formatasi nel 2009 come quartetto strumentale. Hanno pubblicato due EP ed hanno partecipato allo Sherwood Festival, aprendo i concerti di God Is An Astronaut e Blonde Redhead. Un bell’inizio che ha dato vita ad “Eerie”, un viaggio sonoro e visivo nei luoghi più nascosti della mente, dove a fatica si distingue la differenza tra umanità e macchine.


Partiamo da Y.L.L.A., unico brano dell’album con qualche accenno di sonorità vocale, se così possiamo chiamarla. Una distopia sonora che viene messa in risalto dagli effetti metallici della chitarra, dal suono crudo dei piatti, dalla cadenza di un basso martellante.

“Grandma’s Computer Games”, dall’inizio che penetra nel cervello, si apre con melodie apparentemente più docili, dando sfogo poi ad alle sonorità space rock, per chiudersi in un finale volutamente caotico. Anche “Globophobia” ha un percorso simile come sonorità, se non fosse per il finale che sembra quasi porre fine a questo caos prodotto dalla tecnologia in un mondo fuori controllo dalla natura umana.


“Batesville” spiazza subito con un inizio apparentemente fuori dal mondo.

Che sia la melanconia di uno spiraglio d’umanità?

Forse, sta di fatto che la chitarra acustica regna sovrana nell’intero brano, con l’aggiunta solo di successivi synth a mantenere l’ambient di un mondo che non ci appartiene più.



“Kraut Parade” ci riporta con i piedi in un mondo che non ha più illusioni, che non può più essere quello di un tempo. Note aspre, acide, sonorità volutamente confusionarie che riportano al caos descritto in precedenza. Il brano è comunque segnato da una ritmica continua e cadenzata che non da segno di mollare la presa se non nel finale.

“Brain Milkshake” mostra un’inquietudine generica, un caos emotivo e di sonorità che spesso sembrano cozzare tra di loro in un’unione di note che tendono alla dissonanza. La situazione rimane stabile fino al finale dove ci sembra di essere all’interno di un videogioco anni ottanta che va a spegnersi, game over.

C’è ancora un ultimo brano, però, “180 mmHg”. Tamburi iniziali annunciano l’ingresso dell’apice di un turbine inquieto, una sonorità travolgente e continua, un sottofondo spaziale e che tende a voler specificare quanto l’umanità sia incomprensibile innanzi alla presa di potere della tecnologia.



https://www.youtube.com/watch?v=EC2M0C74LxQ

La band è meritevole, l’idea è originale: non è il solito viaggio nella psiche umana, è qualcosa di più. E questo è da apprezzare.

Personalmente, però, prediligo il post rock che rispecchia un animo sognatore come il mio, prettamente romantico, che lascia comunque un barlume di speranza per un futuro migliore.

In ogni caso, consiglio vivamente a tutti gli amanti dello space rock e del kaut rock, oltre che del post rock chiaramente, di ascoltarli con attenzione. E soprattutto con lo spirito giusto.


Voto: 6 e mezzo

Tracklist:

1.) Y.L.L.A.

2.) Grandma’s Computer Games

3.) Globophobia

4.) Batesville

5.) Kraut Parade

6.) Brain Milkshake

7.) 180 mmHg

CONTATTI:

Sito:http://rpstn.net/

Pagina Facebook:www.facebook.com/rpstn

Canale Youtube:https://www.youtube.com/channel/UCMinQ8awkL6B5h94U2ILkLA?view_as=subscribe

Formazione: 

Simone Puppato (guitar, keyboards)

Claudio Torresan (guitar, noise, keyboards)

Leonardo Facchin (bass guitar, keyboards)

Enrico Basso (drums)

J. Postrock.it

Categorie
Recensioni

“The Fearmonger” dei Northern Lines: oltre ogni barriera musicale.

The Fearmonger

Northern Lines
“The Fearmonger” è stata una sorpresa. E leggendo, capirete il perchè.


Il suono dei Northern Lines, spezza volutamente il vecchio sentiero hard rock. E questo, si percepisce già dai primi minuti di Mast Cell Disorder. Fin qui non ci piove.

Il trio, composto da Cristiano Schirò alla batteria, Alberto Lo Bascio alla chitarra e Stefano Silvestri al basso, ha dato alla luce un album fuori dagli schemi per il genere trattato, influenzato sì dal sound anni ’70… ma dovete ascoltarlo tutto, per capire. Già, perché la vostra idea di base cambierà sicuramente durante l’ascolto, proprio come è capitato a me.

Ma proseguiamo un pezzo alla volta. Partiamo dal presupposto che è si tratta di musica strumentale e non facilmente etichettabile in un solo genere: ecco spiegato il perché è recensito su questa pagina, pur non essendo il “classico” post rock a cui siamo abituati.

Le chitarre partono volutamente ripetitive, come possiamo sentire in Shockwave. Si sente, di fatti, l’influenza che gli ascolti dei romani hanno avuto sul loro prodotto: Led Zeppelin, Pink Floyd, Deep Purple, ma anche The Aristocrats e Rush. Fortunatamente però, hanno saputo spezzare il già sentito sound dei classici, proponendo il loro meglio con tempi dispari, l’aggiunta di un melodioso pianoforte che possiamo sentire già dal primo brano, synth, hammond e atmosfere palpabili durante tutto l’ascolto.

Ma cos’è che mi ha spiazzata di “The Fearmonger”? E’ un buon album strumentale che non annoia, certo… ma proprio quando stavo per etichettare l’album sotto un genere, di fatti, ne è apparso un altro. E poi un altro ancora. E ancora uno.

Con Nightwalk, tutto ciò che avete sentito prima scompare, dando vita ad un suono estremamente più fantasioso, a tratti funky, a tratti blues. Intrecci fusion, jazz, la parte hard rock sembra essersi assopita. Un tocco sperimentale e chiaramente ludico si percepisce in Machine Man, già dalle prime note: tango? Proprio così. Tutto si può unire, tutto si può aggiungere, tutto si può tentare.

Basta semplicemente osare e questi ragazzi lo hanno fatto.

A seguire, l’album continua una serie di sperimentazioni che si allontanano sempre di più dal primo titolo della lista. Un tocco di prog dal facile ascolto con Meteor, per poi proseguire con brani dal tocco più malinconico, come Apathy Field, in assoluto il mio preferito. E il gran finale sulla scia del precedente, con Most People Are Dead.

Perché lo consiglio? Perché “The Fearmonger” parte con un genere e termina con un altro, passando tra infiniti altri, dalle mille sfaccettature e non sempre facilmente etichettabili. Lo consiglio perché è un lavoro intenso e strumentale, dove il tema della morte viene affrontato perfettamente in ogni sua fase: la paura iniziale, l’instabilità, l’arrendevolezza. Tutti sentimenti che ho personalmente provato durante l’ascolto e che, probabilmente, sono soggettivi. Ma tutto ciò mi spinge a consigliarlo, perché se un album trasmette qualcosa, allora merita di essere condiviso.

Voto: 7.5

Tracklist:

1.Mast Cell Disorder
2.Session 1
3.Shock Wave
4.Nightwalk
5.Session 2
6.Machine Man
7.Meteor
8.Jukurrpa
9.Toward The End
10.Apathy Field
11.Moste People Are Dead

Label: Autoproduzione
Genere: Progressive Metal
Anno: 2017

Membri:

Alberto Lo Bascio: Chitarra
Stefano Silvestri: Basso e Synth
Cristiano Schirò: basso

Contatti:

https://www.facebook.com/NorthernLinesTrio/
https://www.youtube.com/channel/UC9ydVIo03M36df8Z_8GTKMg

J. Postrock.it


Categorie
Recensioni

Still the Echo dei Red Light Skyscraper: un album da non perdere

Still the Echo

Red Light Skyscraper
Still the Echo dei Red Light Skyscraper: un album da non perdere


I Red Light Skyscraper da Siena mi hanno lasciata davvero impressionata.

Nonostante un orecchio attento riesca a sentire la loro scelta di registrare in presa diretta (al Virus Recording Studio), beh, la cosa non mi è dispiaciuta affatto. Anzi, l’essenza del loro sound è stata perfettamente catturata proprio grazie a questa scelta. Sicuramente il tocco di Frank Akrwright (Joy Division, The Smiths, Arcade Fire, Mogwai) degli Abbey Road Studios di Londra ha dato un’enorme mano nel rendere ancora più atmosferico questo disco.


Il tema principale che Still the Echo dovrebbe trasmettere, e a mio parere ci riesce molto bene, è il viaggio interiore di ogni singolo individuo. Vuole togliere ogni filtro, ogni freno inibitore e lasciare che l’ascoltare venga travolto dalle sensazioni.

Ed è quello che sta accadendo a me durante ogni singola traccia, a partire da Don London. Le chitarre sono molto crude, a tratti dure, ma la natura strumentale dei brani è anche questa.

Un’esplosione di suoni che alterna le atmosfere più scure a quelle più armoniche, come nel caso di Yugen, la mia preferita. Lascia quella vena malinconica fin dalla prima nota, per poi esplodere quasi dopo un minuto in un’insieme di suoni, che smuove in me un vero e proprio Caos interiore, fino al termine sospeso del brano stesso, che ti lascia senza fiato.

L’inserimento della voce in Necessary and Sufficient Condition ha in parte spezzato l’atmosfera creata con Yugen, ma anche questo sembra studiato e voluto, per poi tornare a sognare con l’intro di Sleep on it.

Un album davvero consigliato, soprattutto perché il messaggio che i Red Light Skyscranner volevano trasmettere con quest’album, è stato pienamente ricevuto.




Voto: 7

Autore: Red Light Skyscraper
Anno: 2017
Genere Musicale: Post Rock, strumentale
Label: /
Titolo album: Still of Echo
Sito web: www.redlightskyscraper.com
Facebook: https://www.facebook.com/RedLightSkyscraper/
Instagram: https://www.instagram.com/redlightskyscraper_band/
Twitter: https://twitter.com/rls_band

Tracklist: 

  1. Don London
  2. Luke
  3. Yugen
  4. I Think of Her Like a Home
  5. Necessary and sufficient Condition
  6. Sleep on It
  7. Wander

[amazon_link asins=’B076R79387,B076RJDJV8,B076R5BDBL,B076RPGWTS,B076R8JNTB,B076R52ZFX,B076RMTMNH,B076R88XH4′ template=’ProductCarousel’ store=’1′ marketplace=’IT’ link_id=’1426b43b-d063-11e7-95b3-4b75cf063ffc’]




Categorie
Recensioni

Il nuovo Album di Misto: Helios

Helios

Il nuovo Album di Misto
Helios è un album oltre ogni aspettativa.


E’ difficile credere che sia stato partorito da una one man band, Mirko Viscuso alias Misto. Polistrumentista genovese classe 1985 che non ci delude, in questo secondo capitolo. Dopo svariate esperienze nel panorama genovese (The Pottos e McNamara Playground Heroes), Misto abbandona le logiche ed i ritmi tipici della band, lanciandosi in questo panorama sperimentale che sta dando in maniera decisiva i suoi frutti.

L’ ’EP di esordio “Infinite Mirrors” è stato interamente autoprodotto e rilasciato a Febbraio del 2016.

E ora Helios: un sound più maturo, più accurato, influenzato da svariati generi affini: stoner, sludge metal, shoegaze, elettronica, ambient.

La parte elettronica è estremamente curata, la scelta dei suoni non delude e si fonde perfettamente con le armonie della chitarra. La parte sperimentale è palese in ogni brano, a partire dall’unione di synth che ricreano un ambient quasi orchestrale (come in Daffodils Crashing Into The Water) all’esplosione delle chitarre distorte. Helios è il brano che realmente merita di dare il titolo all’album, personalmente il mio preferito insieme a Buried Under Remote Lands. L’intreccio e la scelta degli arrangiamenti lasciano trapelare una buona conoscenza dell’armonia e delle basi di composizione. Cori, synth, tutto esplode con Helios dal minuto 2:30, per poi cambiare come una vera e propria rapsodia a partire dal minuto 4:30.

Melodie in grado di portarti in un vero e proprio viaggio attraverso i sensi, la mente divaga, rimane coinvolta fino all’ultimo pezzo, “Time To Destroy My Life Capsule”, che già dall’inizio fa intuire un po’ quella vena malinconia di quando qualcosa sta per giungere alla fine.

E questo sentimento si protrae fino alla fine del brano.

J. – Postrock.it 

Voto: 8




Autore: Misto
Anno: 2017
Genere Musicale: Post Rock
Label: /
Titolo album: Helios
Ufficio Stampa: Tri Tuba Press (https://www.facebook.com/Tritubba/)
Sito web: https://www.facebook.com/mistoband/

Tracklist: 

  1. Buried Under Remote Lands
  2. 2. Polemic Guy Wants To Fight
  3. Daffodils Crashing Into The Water
  4. Set Your Firearms Against The Sun
  5. Helios
  6. Time To Destroy My Life Capsule

[amazon_link asins=’B077JLQFPM,B077JMGZ2J,B077JN76Q8,B077JML2ZT’ template=’ProductCarousel’ store=’1′ marketplace=’IT’ link_id=’f37f71fb-d056-11e7-9fae-33eb698e3610′]

Categorie
News

I Sigur Rós rilasciano news sul nuovo album e annunciano il festival con Jarvis Cocker

Sigur Rós

news sul nuovo album
I Sigur Rós rilasciano news sul nuovo album e annunciano il festival con Jarvis Cocker.


Il prossimo album sarà probabilmente in uscita il prossimo anno

I Sigur Ros hanno rilasciato un aggiornamento sui progressi del loro attesissimo nuovo album, oltre ad aver annunciato i dettagli di un nuovo festival con artisti come Jarvis Cocker.

Attualmente impegnati in un Tour in Sud America (24 Novembre – movistar arena
– santiago, Chile), hanno annunciato un nuovo festival che si cureranno da soli.

‘NORÐUR OG NIÐUR’ si terrà presso la Harpa Concert Hall di Reyjavík dal 27 al 30 dicembre e vedrà come protagonista il frontman dei Pulp Jarvis Cocker, Kevin Shields di My Bloody Valentine, Stars of The Lid, Dan Deacon, Julianna Barwick, Sin Fang, Sóley e Örvar Smárason, JFDR e Hugar.

“Siamo più che entusiasti di NORÐUR OG NIÐUR”, ha dichiarato la band in un comunicato. “Organizzare il tuo festival è fantastico, puoi creare un legame fantastico con tutti i tuoi musicisti preferiti, raggiungere le persone, e con un po ‘di fortuna e buon tempismo, ottenere una squadra totalmente fenomenale dal talento imbattibile. Tutti uniti sul palco, per creare la magia.”

Non solo, ma la band ha anche rivelato che stanno facendo progressi su un nuovo Album. A parte il singolo “Óveður” dell’anno scorso, la band non pubblica un album completo dal famoso “Kveikur” del 2013 – ma ora dicono di avere un numero di brani “felici” scritti. Sperano di pubblicare l’album nel 2018.

“Abbiamo completato alcune canzoni … variano molto [in termini di umore]”, ha detto a The List il batterista Orri Páll Dýrason. “‘Kveikur’ era scuro, e questi sono un pò più felici, penso… Credo rappresentino lo spazio in cui ci troviamo. Abbiamo scritto queste canzoni per un lungo periodo di tempo, quasi due anni, e le emozioni sono molto diverse, un pò dappertutto.

“Considerando che ‘Kveikur’ è stato scritto in un breve lasso di tempo, questo ha richiesto più tempo. Vedremo cosa succederà quando ci riuniremo per la prossima sessione di scrittura, ma forse il mondo ha bisogno di qualcosa di felice? Forse abbiamo tutti bisogno di alcune cose positive?”

Elaborando il suono del disco, ha continuato: “La maggior parte del tempo [il cambiamento] proviene da nuove apparecchiature e strumenti. È molto facile rimanere bloccati nello stesso punto se si hanno sempre gli stessi, quindi se ti spingi ad apprendere nuovi strumenti o software, ne uscirà qualcosa di fresco.

“Di recente, ad esempio, ho comprato un sassofono midi, così posso collegarlo al mio computer e suonare dei sample di coro accanto ad esso. Non ho mai suonato il sassofono, non conosco le posizioni delle dita, ma una buona musica è già uscita da esso.”

Paul – Postrock.it


Hai già tutti gli album dei Sigur Rós? Scopri cosa ti manca:

Categorie
News

Nasce Postrock.it

Nasce Postrock.it

Il portale italiano della musica Postrock
Nasce il portale italiano della musica post rock! Un punto di riferimento per tutti gli amanti del genere Post Rock. Un punto di condivisione, un punto dove ricevere tutti gli aggiornamenti in tempo reale sulle band più amate del genere. Un luogo dove dare spazio agli artisti emergenti e alla musica nostrana.


Sei un artista emergente? Inviaci subito il tuo demo all’indirizzo [email protected]. Ti aiuteremo ad avere visibilità pubblicando il tuo album e con una recensione degna del tuo lavoro. Vuoi pubblicizzare i tuoi concerti? Scrivici per richiedere un’intervista, un banner pubblicitario o una foto promozionale! Postrock.it è al servizio di chi ama questo genere di musica, per chi ascolta e per chi suona.

Diamo spazio alla musica Post Rock, e ai suoi generi affini. L’Italia è il fulcro della musica, il posto dove tutto è nato e dove tutto è destinato a tornare. In questo periodo storico si sente ancora il bisogno di un luogo dove condividere le proprie emozioni, i propri sogni e soprattutto gli artisti amati.