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Recensioni

I “John Malkovitch!” ci catapultano in una nuova dimensione sonora. Un viaggio da percorrere.

John Malkovitch!

Ci catapultano in una nuova dimensione sonora
“Eerie” è uno stato d’animo, il racconto in musica della degenerazione tecnologica, un disco dai suoni alienanti che mescola kraut rock, elettronica e space rock con derive psichedeliche.”


La recensione di quest’oggi nasce sulle note e sulle atmosfere di un progetto chiamato “John Malkovitch!”, fondato nel 2016 a Todi. “The Irresistible New Cult of Solenium” è uscito nel gennaio del 2018, co-prodotto da più labels, con l’intento di catapultare l’ascoltatore in una dimensione sonora tridimensionale. Andiamo ora ad analizzare ogni singolo brano, per capire se ci sono riusciti.

“Darker Underneath the Surface” è il primo brano dei quattro, nonché mio primo ascolto. Questi ragazzi sono riusciti già dai primi suoni a trasmettermi un senso di inquietudine, crearmi una sorta di instabilità mentale, come quando stai facendo un sogno lucido e non hai ben chiaro se stai realmente sognando o c’è un fondo, anche piccolo, di realtà. Dura circa un minuto questa reazione quasi d’ansia, per addolcirsi flebile con l’entrata della chitarra. Delicata, dolce, una piuma in mezzo all’instabilità di una dura e nuova dimensione. Si fa attendere la vera e propria apertura della canzone, circa sui quattro minuti, ma è un’attesa che si sposa perfettamente con il genere e che ti soddisfa totalmente quando giunge.



“Twice In a Moment, Once In A Lifetime”, la seconda traccia, non si fa attendere quanto la prima. Già intorno al secondo minuto, si fa conoscere, si fa sentire, ti spinge a proseguire l’ascolto in questo turbine di sensazioni. Man mano che l’ascolto prosegue, questo tunnel d’incoscienza si fa sempre più astratto e concreto allo stesso tempo. E’ reale o meno, è concreto o meno, è un sogno o meno? Ti inghiotte sempre di più, un ascolto profondo, ma del resto, si sa… chi vuole ascoltare qualcosa di poco impegnativo, non si fionda sicuramente nel post rock. Sì, è un ascolto impegnativo, come tutta la musica che ha un valore, come tutta la musica che ti spinge ad andare oltre, a pensare, a riflettere su quello che siamo, su cosa siamo.

E si placa il tunnel, a circa cinque minuti. Rallenta, ritmi cadenzati, costanti, a volte quasi affini al doom, scuri come lo stoner. E in questi momenti di “pausa” ti poni delle domande, hai quasi il tempo sufficiente per rispondere. Forse stai quasi per darti qualche risposta, ma non ne hai il tempo. Perché la cassa batte come un tamburo e non dona sentenza alcuna, si riprende il percorso proprio quando pensi di aver raggiunto qualcosa. La tua mano si allunga, stai quasi per afferrare qualche certezza… ma spariscono, nel nulla. E nel minuto nove, ti ritrovi in un altro mondo, quasi fosse un’altra canzone. Rabbia, caos, instabilità forse, guerra. Le certezze che credevi di aver raggiunto ti hanno abbandonato, ti guardi attorno, cerchi un appiglio, ma non trovi niente. Emozionante.



“Zenit” parte come un risveglio, la quiete dopo la tempesta. Immagino degli occhi che iniziano ad aprirsi, lentamente, ad osservare in maniera confusionaria l’orizzonte. La traccia che trovo più malinconica, più sentimentale, forse. E per questo, forse, la mia preferita. La chitarra pulita dal terzo minuto ritorna con quel tocco delicato del primo brano, miscelandosi perfettamente con i synth, l’ambiente e tutto quello che è stato creato attorno ai suoni principali di questa traccia. Come una vera e propria rapsodia cambia più volte, varia, lasciando immaginare nuovi spazi e nuovi orizzonti per raggiungere poi il finale, dove le chitarre stridono come urla umane.
Buio e notturno l’inizio di “Nadir”, quarto e ultimo brano di questo disco. Nella mia mente appaiono porte che scricchiolano, un cammino lento e inquietante, decisamente opposto al senso di speranza e di risveglio che riscontro invece ascoltando “Zenit”. Tutto questo fino al quinto minuto, dove immagino una corsa sfrenata verso una presunta salvezza, scappando da ogni sorta di paura, la paura dell’ignoto.
Un viaggio e un senso logico, in sole quattro canzoni.



Questo è stato il mio personale “viaggio”, ascoltando questo splendido album. Non è detto che le mie sensazioni siano esattamente quelle che questi ragazzi volevano trasmettere, così come non è detto che voi proviate le mie stesse sensazioni.
Ma le ho provate. E questo è sufficiente per consigliarvi di ascoltarlo.

Voto: 9

Tracklist:

    1. Darker Underneath the Surface
    2. Twice In a Moment, Once In A Lifetime
    3. Zenit
    4. Nadir

Membri:

Luca Santi – Chitarra
Leonardo Tommasi – Chitarra
Manuel Negozio – Basso
Francesco Tiberi – Batteria

Etichetta:



Dingleberry Records
I Dischi del Minollo
Edison Box
Mehr Licht Records & False Hopes

Contatti:

 
J. Postrock.it
 
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