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IL SILENZIO
DELLE VERGINI
FIORI RECISI
“Il Silenzio delle vergini” sono una meravigliosa scoperta. Con loro ho rivisto memorie, ricordi, gioie e dolori. Tutte quelle emozioni che fanno parte di un viaggio obbligato per tutti noi, la vita. Può lunga o più corta, non ha importanza, conta come viene vissuta.

“Non ho più paura” apre con un arpeggio ed un dialogo. Ci figuriamoci già un campo – contro campo davanti agli occhi, come se fossimo al cinema. La voce acconsente ad un ipotetico rapporto di non fedeltà da parte della donna, e lì il ritmo prende vita nell’arpeggio iniziale, una voce femminile, angelica, appoggia il tema melodioso, venature pop che rendono il tutto estremamente orecchiabile. La voce over rientra in campo, una dichiarazione d’amore che lascia in qualche modo presagire un finale tragico, come un melodramma amoroso degli anni 30 sugli schermi di Hollywood.

“Cuore di farfalla” entra in gioco con una chitarra distorta, si sente il passaggio delle dita sul manico. Questo è un altro film, un altro dialogo. La vena romantica si percepisce già dalla seconda canzone. Un arpeggiatore evidenzia il ritmo, le voci lontane, come degli eco dall’aldilà, lasciano spazio ad un mormorio di sottofondo, un vociare caotico che ci fa tendere le orecchie con insistenza. 

Questo brano ci riporta nel passato, nelle antiche memorie di un’infanzia. Il ricordo, la memoria, la fuga… ricorrenti temi nel settore avanguardistico. 

Siamo pronti a farci trasportare da ogni emozione, da ogni singola nota.
“Mental Code” sembra spezzare lo stile romantico dei primi due brani. Dopo il ricordo, dopo le memorie, il tema ricorrente in ogni film d’avanguardia che si rispetti è quello della fuga. E l’impatto sonoro è proprio quello, una corsa inesorabile, echi e cori si mescolano in un assaggio caotico ma anche conflittuale. 

Ancoraggio alla tradizione, alle memorie, ed allo stesso tempo la voglia di esplorare. Sonorità più scure, non propriamente espressioniste ma di sapore comunque nordeuropeo.

“Radici di Paradiso” utilizza nel titolo un altro termine che sostituisce la “tradizione”, ossia le radici. “Amore o morte”. “Voglio amare o morte”. La voce di Mathilda del film Leòn ci dona la conferma che pensare ad un film non è probabilmente così soggettivo. Nuovamente le coralità femminili portano la mente in un vero e proprio aldilà, Paradiso o Inferno non ci è dato saperlo finchè siamo in vita. Il tratto nostalgico dei synth ed arpeggiatori sono un ritorno alla vena romantica del principio. Un amore folle, forse distorto, forse destinato a finire male. Del resto, nel realismo poetico nella Francia degli anni 30, ci si dedicava ad amori idealizzati. 

Non importa cosa o chi, basta amare, mettendoci tutta l’anima.

“Necessità” riprende un po’ le ritmiche sensoriali di “Mental Code”, genera la forte incertezza in un ambiente romantico, rimanendo comunque molto orecchiabili, perfetti per accompagnare un video, una ripresa, un film. Ritorna, a sensazione, il tema della fuga, aggravato dai cori lontani, fuori campo, tratto oramai distintivo dell’album. Ripetitivo, incalzante, il ritmo ed il riff principale rimangono nella mente portando alla paranoia.

Cupo l’inizio di “Cenere”, suoni elettronici integrati con abilità indiscussa. Ashes to ashes and dust to dust, direbbero i Candlemass. La drammatica poesia di Edgar Lee Masters viene recitata come unico testo che possiamo riconoscere come tale in tutto l’album, fuori dai dialoghi iniziali. Non c’è risposta, è un soliloquio, sentito. Emozionante, una dote attoriale che enfatizza il messaggio, arrivato dritto al cuore.

“Gambino” mantiene per tutto il brano una certa sensazione di velata inquietudine, anche questa può far parte di un panorama romantico. La scelta dei suoni, l’accostamento ritmico, ricorda vagamente una citazione dubstep/elettronica, una sperimentazione elettronica che trasmette una sensazione ansiogena.

“Fiori recisi” è il monologo di una notizia di cronaca nei panni della vittima, la musica accompagna lo sfogo di lei, bullizzata dopo essere stata ripresa con un cellulare mentre dei ragazzi fingono di avere un rapporto sessuale con lei. “Come si può essere così cattivi” dice la sua voce, se lo domanda diverse volte, poi la musica parte incalzante. Sì, si può essere così cattivi, si può essere anche più cattivi. Purtroppo.

E la sua voce si confonde con suoni e rumori, interferenze… poi il silenzio. Si può essere così cattivi.

Ultimo brano dell’album è “Il treno dei desideri”. Il pianoforte che fa il suo ingresso ad inizio brano ci lascia subito con l’amaro in bocca: sensazione di nostalgia, di malinconia, di ritorno a casa dopo la fuga, forse? Il treno non è forse l’immagine tipica del fuggire?

Il treno trasporta sogni, speranze. Giovinezza, voglia di scoprire… un nuovo viaggio sta arrivando. 

E noi siamo pronti per partire, senza dimenticare quelle che sono le nostre tradizioni, le nostre radici, le nostre memorie…?

“Il Silenzio delle vergini” sono una meravigliosa scoperta. Con loro ho rivisto memorie, ricordi, gioie e dolori. Tutte quelle emozioni che fanno parte di un viaggio obbligato per tutti noi, la vita. Può lunga o più corta, non ha importanza, conta come viene vissuta.

E sono ancora su questo treno, adesso. E non ho nessuna voglia di scendere.

 

J. – Postrock

 

VOTO: 9,5

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