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ANDREA PELLICONE VAN
GOGH PROJECT
“SOMETHING YOU SHOULD KNOW”
Andrea Pellicone Van Gogh Project – Something You Should Know – Le emozioni, le sensazioni, l’arte uditiva si unisce all’arte pittorica. E’ il messaggio quello che conta, quello che ci è arrivato dritto al cuore, un puro gesto d’amore.

“My sea is screaming” inizia con sensazioni, rumori, ritmi in una mescolanza di suoni dal sapore d’avanguardia. L’autore dedica queste forti emozioni al crollo del ponte Morandi di Genova, 14 agosto 2018, ma potrebbe tranquillamente essere riferito a situazioni analoghe. Ci sentiamo come se un pensiero stesse per invadere completamente la nostra mente fin quasi a farla esplodere. 

Una musicalità che potrebbe tranquillamente accompagnare una pittura in movimento.

Dobbiamo attendere quasi il secondo minuto per sentire un dialogo di chitarre, un dialogo frenetico e sperimentale, quasi come se lo strumento fosse stato suonato in maniera diversa dal modo consueto che tutti conosciamo. Una cavalcata, una batteria impazzita, un suono che non trova pace, che corre, scappa frenetico, alla ricerca della sua dimensione. D’improvviso una voce over ci riporta con i piedi per terra, quella corsa probabilmente è reale, è un urlo. Sta succedendo qualcosa e sta succedendo per davvero…

Le nostre prime impressioni ci portano quindi tormentati all’ascolto di “A summer joke”. Siamo in preda ad un forte temporale. 

Il tocco psichedelico si sente nell’esecuzione delle chitarre, nel modo in cui la batteria tenta di rincorrerla affannosamente.

Lo scherzo del destino, già, così crudo e amaro, che fa le cose quando non ce lo aspettiamo. Come in una semplice giornata estiva seppur piovosa. Nell’ultimo minuto gli strumenti sono completamente dislocati tra di loro, come se non si seguissero più. Come se ognuno avesse trovato una propria dimensione ma non la stessa degli altri.

Passiamo così a “Romantic Dream”, un piano introduce qualcosa di estremamente toccante, un’aspettativa corretta se si pensa al rifacimento di una grande opera come l’Ave Maria di Shubert. 

Il tema portante è eseguito dalla chitarra elettrica, grattato, forse impreciso, ma il messaggio arriva dritto al cuore. 

Un saluto alle vittime che si è infilato in noi come una lama appuntita. La canzone, che dura per 15 minuti, è divisa in quattro parti ed oltre all’ispirazione Shubertiana ritroviamo anche il tema di Danse Macabre di Camille Saint Seans. Sicuramente il tema dell’occulto è apprezzato e non fuori luogo in questo concept album.

“Dirty Money” lancia un messaggio neanche troppo subliminale su quello che i soldi significano in ogni situazione. Il loro macabro ed oscuro potere che avvolge tutti sempre e comunque, anche nella disgrazia. Lo stile cadenzato dell’inizio del brano lasciano quasi un’idea di rassegnazione a di fronte a questo concetto. Lo stampo cantautorale un po’ “country” anche nel testo, rafforzano questa idea.

“Rising to light” è dedicata alle anime che, ancora spaesate dall’accaduto, fluttuano in cielo. Il suono iniziale ci dona l’idea del tormento, forse del non voler lasciare una vita che gli è stata strappata così presto. 

Schizzi di musicalità agguerrita lasciano tregua ad una voce che sovrasta il leggero accompagnamento, proprio per dare priorità all’ascolto del testo, anche questa volta in inglese.

Inizia subito dopo “Song for Caterina”, il rumore del vento e del mare ci accompagnano in tutto il concept e lo rendono davvero tale. Nuovamente ritroviamo un pianoforte che fa un semplice accompagnamento. Il testo ci avvolge in quella che comprendiamo essere subito una canzone d’amore e come tale ci mostra i suoi problemi, le sue angosce, magari anche delle paranoie, reali o meno, che fanno comunque parte della vita. Un po’ come nei temi preferiti dalla pittura d’avanguardia, quando si affronta una qualsiasi relazione passando dal suono, al rumore, all’immagine. Il tutto, comunque, sempre derivato dall’inconscio, dal profondo o dall’infanzia.

“L’Infinito” parte con un accenno all’inno di Mameli, e subito dopo un decadimento sonoro… inizia la recita dell’Infinito di Leopardi. La parte vocale è una sorta di urlo, più che un canto, non si schioda da due note, ma sicuramente rende l’idea centrale di un messaggio di rinascita, un urlo ma questa volta di speranza, forse. 

Il fatto che in qualche modo riusciremo sempre a rialzarci.

“Dancing on the Clouds” regala un ultimo saluto alle vittime, questa volta non c’è segno di angoscia, di irrequietezza. Quasi si percepisce una sensazione di pace dalla musicalità, probabilmente anche per l’arpeggio che ricorda ancora vagamente Shubert, ci lascia questa malinconia però distante dalla tristezza. Un ultimo ciao e un bacio al cielo.

Seguono “Ballando sulla Luna” e “Caterina”, semplicemente la versione in lingua italiana di “Dancing on the Clouds” e “Caterina”. Sentire un tema come questo in lingua italiana, sapendo anche il messaggio generale del concept, non fa che potenziare ancora di più le impressioni descritte in questa recensione.

Le scelte di Andrea Pellicone sull’aspetto editing sono chiare: non ci sono state modifiche, il suono sembra spesso impreciso rispetto agli audio perfetti che siamo sempre abituati a sentire, tutto perfettamente a tempo, tutto perfettamente in sincrono. Qui invece ci sono alcune sbavature, alcune imprecisioni… ma cosa importa?

Le emozioni, le sensazioni, l’arte uditiva si unisce all’arte pittorica. E’ il messaggio quello che conta, quello che ci è arrivato dritto al cuore, un puro gesto d’amore.
VOTO: 7

LINK:

https://www.facebook.com/andreapelliconevangoghofficial

 

J. Postock